Revenge porn, la violenza corre anche su Telegram

È una domenica mattina. Fai il quinto anno di liceo e sei proiettata verso un futuro che ti porterà lontano dalla provincia in cui abiti e che ti è sempre stata un po’ stretta. Poi però arriva una telefonata e scopri che un tuo video intimo, di cui non conoscevi l’esistenza, è finito online, diffuso dal tuo ex. Così è iniziato il calvario di Anna (nome di fantasia) che a Lumsanews racconta la sua storia: “Non sapevo come comportarmi, era il 2017, non c’era ancora una legge che ci tutelava e poi non volevo dirlo ai miei. Mi vergognavo tantissimo.”

La svolta del Codice Rosso 

La legge a cui Anna fa riferimento è la 69 del 19 luglio 2019, la cosiddetta legge Codice Rosso a tutela delle vittime di violenza domestica e di genere. In questa legge, per la prima volta, viene introdotto il reato di revenge porn disciplinato dall’articolo 612 ter del Codice penale. Con l’espressione “revenge porn”, si identifica la diffusione in rete di immagini sessualmente esplicite, senza il consenso del soggetto ritratto, da parte di individui che intendono così umiliarlo e mortificarlo. In Italia, come racconta a Lumsanews l’avvocata Alessia Sorgato, “la legge ha il merito di aver dato al fenomeno una dignità autonoma a livello penale, perché prima le denunce erano dislocate in tantissime fattispecie di reato”.

La posizione europea 

A livello europeo uno strumento di contrasto è il Digital Service Act, il nuovo regolamento sui servizi digitali, approvato il 5 luglio 2022, che punta a regolare la policy delle piattaforme. Come spiega a  Lumsanews la sociologa digitale Silvia Semenzin, questo però “non ha accolto molte delle richieste fatte dalle associazioni che si occupano di violenza digitale, come quella di regolamentare le piattaforme pornografiche, molto più libere dei social media”. Intanto la Spagna con la nuova “Ley del solo sí es sí” ha introdotto uno statuto specifico per il reato, “riconoscendolo come reato di genere”, spiega Semenzin. È una legge che deve molto a quella italiana ma è più incentrata sul target delle vittime.

I numeri del fenomeno e il profilo delle vittime

Secondo gli ultimi dati della Direzione Centrale Polizia Criminale diffusi dal Ministero dell’Interno, lo scorso anno, nei mesi tra gennaio e settembre 2022, la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti è diminuita del 20% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (871 reati commessi contro 1.090). Nel periodo gennaio-ottobre 2021, invece, si è registrato un incremento del 45% rispetto al periodo gennaio-ottobre 2020 (1.090 reati commessi contro 759). Il report inoltre rende noto una predominanza di vittime di genere femminile, con un’incidenza del 72% (solo il 28% sono vittime di genere maschile). Di queste l’83% è maggiorenne e l’87% è di nazionalità italiana.

Un fenomeno, quello della profilazione delle vittime, che divide gli esperti. Se per Gaia Rizzato, socia fondatrice dell’Associazione PermessoNegato, il reato “colpisce tutte le fasce d’età, con un incremento delle vittime maschili se si considera la condivisione a scopo estorsivo”, per l’avvocata Sorgato il fenomeno riguarda soprattutto i giovanissimi, che iniziano a confrontarsi con questo tema già quando frequentano la scuola media. Per questo Semenzin invece “il fenomeno ha molto più a che vedere con il controllo maschile che con le relazioni di manipolazione” ed è per questo, a suo avviso, che le vittime sono maggiormente donne. 

Da non sottovalutare poi anche le ripercussioni  sociali e psicologiche, spesso molto gravi. Anna ci confida che dopo la condivisione del suo video si è sentita costretta a cambiare scuola e ancora oggi le ferite di quell’esperienza non sono del tutto rimarginate: “In quel periodo ovunque andassi mi sentivo osservata – dice -. Ho iniziato a soffrire di attacchi di panico e ancora oggi continuo a essere seguita da una terapista”.

Un buco nero: Telegram

Il report “State of Revenge 2022” dall’associazione PermessoNegato rivela una crescita della diffusione di materiali intimi non consensuali soprattutto su Telegram, piattaforma di messaggistica istantanea famosa per la sua politica di tolleranza nei confronti di questi contenuti.

Il quadro è allarmante: i canali Telegram attivi nella condivisione di materiali intimi non consensuali per un pubblico italiano lo scorso anno erano 231; gli utenti non unici (ovvero assidui) oltre 13 milioni. Tra tutti i canali, il gruppo più numeroso raggiungeva un numero di oltre 540.000 utenti.

Fonte: Report ““State of Revenge 2022”, PermessoNegato

L’osservatorio ha fatto emergere inoltre che il numero dei canali Telegram creati ai fini della condivisione o ricondivisione di video e immagini non consensuali è aumentato del 21% in un solo anno, passando così da 190 a 231 nel periodo compreso tra novembre 2021 e novembre 2022. Questo indica una crescita di 4.217.220 unità in 12 mesi (+32%). Un aumento iniziato nel 2020, anno dello scoppio della pandemia da Covid-19:

  • febbraio 2020: 17 gruppi/canali per un totale di 1.147.000 utenti non unici;
  • maggio 2020: 29 gruppi/canali per un totale di 2.223.336 utenti non unici;
  • novembre 2020: 89 gruppi/canali per un totale di 6.013.688 account non univoci;
  • novembre 2021: 190 gruppi/canali per un totale di 8.934.900 account non univoci.
  • novembre 2022: 231 gruppi/canali per un totale di 13.152.120 account non univoci.

Fonte: Report ““State of Revenge 2022”, PermessoNegato

I motivi della facile e rapida diffusione di questi contenuti su una piattaforma come Telegram vanno ricercati nella sua politica interna. “Telegram è una piattaforma molto particolare perché permette di creare dei gruppi con un bacino di utenti molto ampio – spiega Rizzato -. Inoltre non risponde per policy alla richiesta di rimozione di contenuti sessualmente espliciti condivisi senza il consenso”. Oltretutto, sempre più presente in queste chat è la pratica pericolosa del deepfake, un’intelligenza artificiale in grado di creare video fittizi usando volti di persone reali. I motivi invece del perché l’aumento si sia registrato soprattutto durante la pandemia sono da ricercare “nel maggior tempo trascorso online”, come racconta Semenzin, cosa che ha portato in quell’anno a un “aumento dei casi di violenza nei confronti delle donne in ogni sua forma”.