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Romano (Pd): “I giovani non sono lontani dalla politica, ma dal modo in cui viene fatta”

di Antonio Fera20 Novembre 2025
20 Novembre 2025

Paolo Romano (Pd)

Negli ultimi anni, diversi partiti italiani hanno rilanciato iniziative di formazione politica rivolte ai giovani. Un fenomeno che sembra andare di pari passo con un dato sorprendente: secondo un’indagine Ipsos, il 76,4% dei giovani italiani si dichiara interessato alla politica. Ne abbiamo parlato con Paolo Romano, 29 anni, consigliere regionale Pd in Lombardia.

La stupisce il dato rilevato da Ipsos?
“No, per nulla. Una cosa è essere lontani dal dibattito politico italiano – che spesso è povero e scollegato dai problemi reali –, un’altra è essere lontani dalla politica in sé. I giovani discutono ogni giorno di temi cruciali: il costo degli affitti, gli stage non retribuiti, i salari bassi, la crisi climatica. Lo fanno perché li vivono sulla propria pelle, ma non sempre trovano forze politiche capaci di rappresentarli. Credo che uno dei motivi per cui il Pd è il più votato tra gli under 35 sia proprio l’attenzione, grazie alla segretaria Elly Schlein, a questi temi.”

Alle ultime elezioni europee il Pd è stato uno dei partiti più votati tra i giovani. È un segnale di fiducia?
“Sì, ma non basta. Il Pd ha ancora molto da fare per ricostruire credibilità verso le nuove generazioni. Però il percorso è iniziato, e il lavoro che stiamo facendo va proprio in questa direzione”.

Parliamo di formazione politica. Il suo partito ha rilanciato un progetto nazionale, giusto?
“Sì, con Marwa Mahmoud, che è delegata alla formazione, stiamo portando avanti qualcosa di nuovo. Sono stati coinvolti centinaia di giovani in momenti di approfondimento serio, con approcci anche innovativi. Non siamo certo ai livelli delle Frattocchie, ma oggi è fondamentale ripensare il modello: la formazione non deve essere solo ‘trasmessa’, ma anche co-progettata con i ragazzi. Le nuove generazioni hanno linguaggi e strumenti diversi, bisogna ascoltarli e costruire insieme”.

Quindi una formazione “tra pari”, non più solo frontale.
“Esatto. Nei Giovani Democratici di Milano abbiamo sperimentato un modello di peer-to-peer education: ogni referente partecipa ai momenti formativi e poi torna nel proprio circolo per condividere ciò che ha imparato. È un modo per responsabilizzare e creare una rete diffusa di competenze, con linguaggi comuni e orizzontali”.

Ha parlato spesso di “effetto panda”. Che cosa intende con questa espressione?
“È un concetto nato da un’amica, Laura Sparavigna, assessora a Firenze. ‘Effetto panda’ significa questo: quando in un partito emerge un giovane bravo, spesso viene ‘messo in vetrina’. Serve per dire ‘abbiamo i giovani’, ma di fatto non cambia nulla. È come un panda: raro, studiato, fotografato, ma unico. Così si evita il vero ricambio generazionale”.

E concretamente, come funziona oggi la scuola di formazione del Pd?
“È in evoluzione. So che vengono coperte spese di viaggio e pasti per garantire la partecipazione a tutti, indipendentemente dal reddito. È un investimento importante, perché se la politica non ha risorse pubbliche per formare i cittadini, a farlo saranno solo i soggetti privati. E allora la politica diventa appannaggio di chi ha già potere economico”.

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