Fabrizio Maronta, analista di Limes

"Negli Usa si percepisceun'economia nettamente peggiorata"

Fabrizio Maronta, analista di Limes "Trump da voce alla classe media"

Esistono fattori economici oggettivi che plasmano il panorama politico americano e cambiano la vita delle persone. Eppure, a volte, l’interpretazione di tali condizioni dipende da elementi culturali ed emotivi, che contribuiscono a delineare il quadro complesso in cui si svolgono le elezioni politiche americane. Fabrizio Maronta, analista geopolitico per Limes, chiarisce la contraddizione tra i dati dell’economia americana e la percezione che ne hanno gli elettori.

Qual è attualmente la situazione economica americana?

“È evidente che l’andamento macroeconomico, inclusi il Pil e la produzione industriale, ha subito negli ultimi trent’anni un deterioramento strutturale e con lui anche la classe media americana. Quella classe che, dalla fine della Grande depressione in poi, ha beneficiato dell’industria, ora vede un peggioramento del proprio tenore di vita. La delocalizzazione industriale verso Paesi come la Cina ha eroso il tessuto economico e sociale della middle-class americana generando disuguaglianze strutturali”.

Cosa hanno perso nello specifico?

“Con un solo stipendio prima ogni famiglia riusciva a mandare i figli al college, ad avere una casa, una macchina e ad andare in vacanza. Queste persone, oggi, per mantenere un tenore di vita simile o anche mediamente inferiore devono fare più lavori, anche meno pagati. Per comprare una casa ci vuole più tempo, mentre sono aumentati i costi dell’istruzione”.

L’economia durante la presidenza di Biden ha mostrato segnali di miglioramento. Perché gli americani invece la percepiscono come peggiorata rispetto al periodo Trump?

“Perchè c’è un altro punto da considerare che non riguarda tanto la razionalità dell’economia quanto il sentimento. Trump ha dato voce al disagio che sta vivendo la classe media. Lo stesso slogan della sua campagna elettorale, Maga (Make America Great Again, ndr) rimanda proprio alla presunta ‘età dell’oro’. Tutti i suoi elettori più convinti lo considerano una sorta di vate che ascolta e dà voce alla loro pancia. Durante la sua presidenza, invece, Biden è stato sfortunato”.

Cosa intende dire?

“Dal punto di vista della politica commerciale ed economica non c’è una differenza sostanziale tra Trump e Biden. Entrambi hanno applicato barriere e sanzioni, come nel caso della Cina. Tra l’altro Biden ha persino incrementato i sussidi rispetto a Trump, ha sostenuto determinati comparti industriali e ne ha reindustrializzati altri. Ma è stato sfortunato perché ha dovuto affrontare la guerra in Ucraina e poi quella in Medio Oriente e quindi ha aumentato le spese militari. Se da una parte ha dato, dall’altra ha tolto”.

E questo gli americani lo sanno?

“L’elettorato, specialmente quello di istruzione medio-bassa – di cui Trump sfrutta il malcontento –, non fa tutti questi sofismi. Le persone valutano in base alla loro situazione economica attuale. I provvedimenti presi da Biden, qualora dovessero portare a dei risultati, lo faranno solo nell’arco di diversi anni. Così queste persone (che magari seguono poco la politica interna e capiscono poco di economia) tendono a pensare che, se Trump avesse fatto lo stesso, lo avrebbe fatto meglio”.
Cosa comporterebbe a livello economico un ritorno di Trump alla Casa Bianca?
“Instabilità. Provocherebbe conflitti istituzionali con le agenzie federali. La sua imprevedibilità e il suo stile populista hanno reso (e, se rieletto, renderanno) difficile la collaborazione con gli apparati politico-amministrativi, generando potenziali danni economici”.

Cosa cambierebbe, invece, rispetto a Biden dal punto di vista politico un ritorno di Trump?

“Non molto. La differenza tra Trump e Biden è più tattica che strategica. Entrambi condividono il principio dell’America first, ma Biden ha operato attraverso alleanze tradizionali come la Nato e l’Unione Europea, mentre Trump ha privilegiato accordi bilaterali e ha sfidato gli schemi internazionali convenzionali”.