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Siani, la lezione di un giornalista coraggioso

di Diana Sarti19 Settembre 2019
19 Settembre 2019

19 settembre 2019: Giancarlo Siani avrebbe compiuto 60 anni se la camorra non lo avesse assassinato il 23 settembre 1985 a soli ventisei anni. E’ ancora oggi un simbolo di giornalismo dalla “schiena dritta”, come lo avrebbe definito Carlo Azeglio Ciampi. Dedicò non solo la sua carriera, ma alla fine anche la sua vita, alla lotta contro la camorra e al giornalismo libero.

Era il 22 settembre del 1985 quando sul quotidiano Il Mattino di Napoli usciva quello che sarebbe poi diventato l’ultimo articolo di Siani, intitolato “Nonna manda il nipote a vendere l’eroina”. Raccontava il fenomeno dei “muschilli”, le attuali baby gang, ovvero bambini talmente tanto piccoli da non essere imputabili e proprio per questo sfruttati per spacciare droga.

“Ragazzi, molto spesso bambini, già inseriti in un giro di droga. Per loro quale futuro? Se non diventano consumatori di eroina, se riescono a sopravvivere, è difficile che possano imboccare altre strade che non siano quelle dell’illegalità, dello spaccio diretto, dello scippo, del furto. E in provincia di Napoli lo spaccio della droga è diffuso, ramificato, controllato dai grossi clan della camorra”.

Siani conosceva bene la realtà locale e lo stretto rapporto tra la politica e la criminalità organizzata nel territorio di Torre Annunziata.

Il giorno dopo la pubblicazione dell’articolo, Siani perse la vita per mano di camorristi che vollero punire lui e la libertà di stampa che incarnava. L’articolo che “decretò la sua condanna a morte” fu però quello pubblicato su Il Mattino il 10 giugno 1985.

“Dopo il 26 agosto dell’anno scorso il boss di Torre Annunziata era diventato un personaggio scomodo. La sua cattura potrebbe essere il prezzo pagato dagli stessi Nuvoletta per mettere fine alla guerra con l’altro clan di Nuova famiglia, i Bardellino. I carabinieri erano da tempo sulle tracce del super latitante che proprio nella zona di Marano, area d’influenza dei Nuvoletta, aveva creduto di trovare rifugio”.

Attraverso il racconto della cattura del boss di camorra, Valentino Gionta, che all’epoca era un super latitante, Giancarlo Siani svelò quello che era stato un tradimento del codice d’onore tra mafiosi. Un retroscena che gli costò la vita. Il clan Gionta di Torre Annunziata era alleato con il clan Nuvoletta di Marano. Questi ultimi erano in guerra con il clan Bardellino. Per mettere fine ai contrasti con i rivali, i Nuvoletta fecero un patto con i Bardellino: l’uscita di scena di Gionta, loro alleato ormai diventato scomodo, in cambio della quiete e della redistribuzione degli interessi economici prima controllati dal boss.

Dietro l’assassinio del giornalista però, c’erano anche altre persone, come ha ricordato il giornalista Roberto Paolo in un’intervista a Lumsanews. “I Nuvoletta di Marano, affiliati ai corleonesi, uccisero Siani con il benestare della mafia siciliana. I corleonesi dunque, venuti a sapere del tradimento dei Nuvoletta, si insospettirono degli affiliati. Allora il clan campano per dimostrare alla mafia che non avevano tradito nessuno ammazzarono il giornalista”.

Tuttavia, mentre i Nuvoletta furono processati e condannati all’ergastolo insieme a Luigi Baccante, unico mandante ancora in vita, e a Armando Del Core e Ciro Cappuccio, anche loro all’ergastolo perché riconosciuti come esecutori materiali, mai nessun esponente della mafia siciliana è stato processato per l’omicidio di Siani. Il boss Valentino Gionta invece fu scagionato in Cassazione.

Il malaffare raccontato da Giancarlo Siani non è molto diverso da quello di oggi in alcuni quartieri di Napoli. I meccanismi criminali sono sempre gli stessi. È qui che risiede uno dei motivi della straordinaria attualità della sua storia personale e del suo lavoro. L’esempio forse più calzante, e che secondo Roberto Paolo potrebbe essere il vero movente della sua morte, è quando Siani ha scritto un articolo che per la prima volta ipotizzava che anche a Torre Annunziata si stesse replicando il modello già presente a Napoli di cooperative di ex detenuti, sovvenzionate dallo Stato, in cui si era infiltrata la criminalità organizzata. Cooperative il cui business all’epoca stava fiorendo e oggi invece è al centro di vari scandali tra cui Mafia Capitale. Siani in quella circostanza lo scoprì da precursore.

A distanza di decenni il mestiere del giornalista napoletano è rimasto immutato nelle sue criticità. Ci sono tantissime similitudini tra il percorso professionale di Siani e quello di un giovane giornalista di oggi. Siani era un collaboratore precario de Il Mattino. Non lavorava nella redazione di Napoli perché “abusivo”. Era un giovane pubblicista in attesa del praticantato giornalistico per diventare professionista a pieno titolo. Faceva il corrispondente da Torre Annunziata. Nell’estate del 1985 lo chiamarono dalla redazione centrale per fare una sostituzione estiva. Era senza contratto. La sua sembra la descrizione di un freelance moderno: precario, mal pagato e spesso senza tutele. È lo stesso fratello maggiore di Giancarlo, Paolo Siani, che a Lumsanews rivela come suo fratello fosse preoccupato “di non avere una strada per fare il giornalista. Lui aspirava che ci fossero delle scuole di giornalismo per formare ragazzi giovani che poi potessero essere assunti dai giornali”.

È la storia, come ricorda Carlo Verna, presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, “di un ragazzo che ha lasciato la vita per inseguire il sogno di fare il giornalista. È un simbolo per i giovani. La sua storia viene vissuta come esempio. Giancarlo è uno straordinario testimonial della passione per la professione giornalistica”. Alla fine Il Mattino lo avrebbe assunto. Nell’attesa di quel contratto, la camorra è arrivata prima, strappandogli la vita.

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