HomeEsteri Siria, Turchia avanza ma Trump indietreggia: “Non appoggio l’operazione”

La Turchia avanza in Siria
Trump invece indietreggia
"Non appoggio l'operazione"

I curdi pensano a un'alleanza con Assad

Dubbi sul futuro dei fighters carcerati

di Serena Console08 Ottobre 2019
08 Ottobre 2019

Svanisce lentamente il ricordo del tricolore curdo issato nel 2015 su una collina al confine turco-siriano, proprio lì dove nei mesi scorsi era apparsa una bandiera dello Stato islamico: è l’immagine simbolo della sconfitta dei jihadisti dell’Isis a Kobane-Ayn Arab per mano delle forze militari curde. Un successo ottenuto anche con il contributo delle truppe americane.

Per questo l’annuncio di domenica del presidente statunitense Donald Trump, dopo una telefonata con l’omologo turco Recep Tayyip Erdoğan, è stato recepito da più parti come un tradimento. Trump ha fatto sapere che ritirerà le truppe americane dal nordest della Siria, dove si trovano i curdi siriani, per permettere alla Turchia di avanzare in quei territori e creare una specie di “safe zone”, una zona di sicurezza, tra il confine turco e quello siriano.

Lunedì sera, però, il leader americano ha fatto un mezzo passo indietro: il ritiro riguarderà soltanto una piccola parte dei soldati americani presenti in Siria e ha specificato di “non appoggiare un’operazione nel Nord” da parte della Turchia, perché altrimenti colpirebbe l’economia di Ankara, ha scritto in un tweet. Ma l’amministrazione guidata dal “Sultano” non è rimasta in silenzio e ha risposto, tramite il vicepresidente Fuat Oktay, che la Turchia “non è un Paese che agisce sotto minaccia”.

Toni mitigati o meno, quelli di Trump rischiano di determinare un’escalation di violenza nel Medio Oriente. Le forze militari curdo-siriane, infatti, non escludono di collaborare con il governo di Damasco in funzione anti-turca, secondo quanto annunciato dal comandante Mazlum Abdi. Il presidente siriano Assad, però, ancora non ha reagito all’offensiva annunciata da Ankara, ma non guarda con favore il futuro delle carceri in cui sono reclusi i combattenti dell’Isis, tra cui molti foreign fighters, controllati dalle forze curde.

Se le milizie del Pkk, l’organizzazione paramilitare accusata di terrorismo proprio dalla Turchia, abbandonassero il controllo delle prigioni, molti “fighters” avanzerebbero di nuovo nei territori precedentemente controllati dal califfato.

E a quel punto chi dovrà tirare i fili della drammatica situazione? Damasco con Mosca e Teheran oppure Ankara con una coalizione euroasiatica a trazione cinese? Gli interrogativi, a oggi, non ricevono risposta, ma arriva subito la condanna dai paesi europei: Erasmo Palazzotto, deputato Leu, ha sollecitato un intervento diretto dell’Europa per frenare l’avanzata.

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