ROMA – Un tariffario della vergogna per rimuovere le immagini private sottratte a donne ignare e diffuse online senza il loro consenso. È quanto emerge dall’inchiesta sui due siti sessisti presenti sul web e balzati all’attenzione della cronaca nelle ultime settimane: il gruppo Facebook “Mia Moglie” e il forum “Phica.net”.
Dopo il clamore iniziale, gli accertamenti della polizia postale si sono concentrati sui metodi utilizzati dagli amministratori dei portali online nel corso degli anni per garantire alle vittime – e adesso anche agli utenti sorpresi dalla portata dello scandalo – la cancellazione del materiale compromettente. I reati ipotizzati vanno dall’estorsione al ricatto, ma gli inquirenti non escludono che il racket sia la punta di un iceberg molto più grande e nascosto nelle profondità di internet. In tal senso, chi indaga non esclude la presenza di una possibile associazione a delinquere, finalizzata a estorcere denaro alle vittime in cambio di una millantata rimozione di immagini e foto.
Vittime che il più delle volte non avrebbero esitato a pagare per provare a limitare i danni: 350 euro se il materiale da cancellare richiedeva poche ore o giorni di lavoro; diverse migliaia di euro se le operazioni di pulizia erano più impegnative e il livello di accuratezza e profondità maggiori. Tra le tante donne costrette a cedere al ricatto degli amministratori, come quello di Phicamaster che gestiva l’omonimo sito finito ora al centro degli accertamenti delle forze dell’ordine, anche volti più o meno noti del mondo dello spettacolo che hanno preferito rimanere nell’anonimato. A oggi, non ci sono indagati sebbene le procure italiane siano alle prese con centinaia di denunce. Ma nel mirino degli inquirenti sono finite le società che avrebbero gestito i pagamenti all’estero per conto del sito Phica.net.
Intanto, non si fermano le segnalazioni di donne che hanno denunciato la presenza di scatti personali rubati e diffusi in rete provenienti da ambienti pubblici come palestre e camerini, ottenuti seguendo una vera e propria guida pubblicata in passato in una delle numerose sezioni del sito, chiusa prima dello scandalo, e rimasta consultabile negli anni da migliaia di utenti. Per questo, tra i tanti reati che la procura di Roma potrebbe ipotizzare, c’è anche l’istigazione a delinquere e l’interferenza illecita nella vita privata. A raccogliere l’appello è stata l’avvocato Annamaria Bernardini de Pace che nei giorni scorsi aveva lanciato una class action per tutelare le vittime.