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“Un vuoto edilizio da 16 milioni di immobili”: l’urbex nelle parole dell’architetto Mosè Ricci

di Elisabetta Guglielmi09 Ottobre 2025
09 Ottobre 2025
Mosé Ricci

L'architetto urbanista Mosé Ricci

A riflettere sull’impatto che gli immobili abbandonati hanno sul suolo e sull’ambiente è Mosè Ricci, professore ordinario di Pprogettazione architettonica e urbanistica all’Università La Sapienza di Roma.

Quanti sono gli immobili abbandonati in Italia?

“Per una mostra al Maxxii del 2011-2012 avevamo ipotizzato la presenza di 9 milioni di edifici vuoti in Italia. Nel nostro Paese dal 1999 al 2012 sono stati costruiti 300 milioni di metri cubi ogni anno. Da allora a oggi abbiamo costruito di più, il trend si è abbassato solo con la crisi del mercato edilizio nel 2015, ma ora sta risalendo. Roma è la città che negli ultimi 10 anni ha costruito di più in Italia, con maggiori danni da cambiamento climatico. Negli ultimi anni il costruito è leggermente diminuito, ma il vuoto è aumentato. La gente si trasferisce da una casa vecchia in una nuova. C’è un altro modo di occupare gli spazi”.

In che modo questo vuoto impatta sui cittadini?

“Nei borghi montani corrisponde ad abbandono. Nei centri cittadini c’è un vuoto abbandonato che è quello dei grandi contenitori pubblici: case, fabbriche in degrado. Questa percentuale di vuoto è quella che abbiamo computato intorno a 9 milioni di fabbricati in Italia nel 2011. Adesso sarà di 16 milioni il patrimonio edilizio inutilizzato, dato che le costruzioni sono aumentate e la popolazione diminuita. Purtroppo è difficilissimo intercettare il vuoto, perché al catasto sono pochissimi i fabbricati dichiarati tali. A questi edifici si aggiungono le case di piccoli privati abbandonate nei centri storici delle città turistiche. Tutto ciò è un patrimonio, un’eredità che le generazioni ed economie precedenti ci lasciano e che noi dovremmo essere capaci di riutilizzare”.

Come diminuire il numero di tutti questi immobili?

“Probabilmente il riciclo è una soluzione, ma c’è una forma di riciclo più ecologica che è il riaccompagno alla natura. Tutto questo è un’eredità che non possiamo sprecare. È come se la nostra famiglia, i nostri avi ci avessero lasciato in eredità una massa di edifici che occupano il nostro territorio e noi non facciamo nulla, continuiamo a pagare il loro degrado lasciando che diventino aree non accessibili. Abbiamo bisogno di rifugi climatici, abbiamo bisogno di disinquinamento, di città che garantiscano una migliore qualità di vita”.

Non sarebbe opportuno occuparsi di questi edifici nei piani urbanistici?

“Purtroppo l’abbandono non è il nostro primo territorio di intervento. Come urbanisti dovremmo porci a controllori del processo politico di espansione della città. E l’espansione non è più pensabile perché abbiamo costruito molto più di quanto serva. Lavorare sull’esistente diventa materiale di costruzione della nuova città. Non è solo una questione tecnico-architettonica, ma economica. Ci sarebbe il lavoro sull’esistente, ma le imprese preferiscono buttare a terra, perché la loro organizzazione è pensata per una città che incrementa continuamente i propri volumi”.

Ma cosa prevede la legge urbanistica?

“Ricostruire da zero è l’idea che c’è dietro la legge urbanistica del 1942. Noi costruiamo le città in base a una legge di 80 anni fa, un mondo diverso, soprattutto con la rivoluzione digitale che ha annullato il legame tra luogo e uso. Siccome il paradigma del razionalismo in architettura urbanistica era “la forma segue la funzione”, se la funzione non ha più bisogno di una forma noi viviamo in un mondo in cui il materiale ha una parte fondamentale e questo ci consente di abitare ogni tipo di spazio. Non c’è più bisogno di avere luoghi specificamente configurati per una funzione, perché tutto quello che non possiamo fare in quello spazio lo possiamo fare negli spazi virtuali che sono infiniti”.

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