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HomeEsteri Sudan, una guerra senza fine. L’analista Musso: “Paese in stallo, ma non è una nuova Libia”

“Situazione in stallo
il Darfur è nelle mani
dei paramilitari”

L’analista Giorgio Musso a Lumsanews

"Nessun negoziato politico in vista"

di Tommaso Di Caprio06 Ottobre 2025
06 Ottobre 2025
Sudan

Giorgio Musso, ricercatore in Storia e Politica dell’Africa all’Università degli Studi Roma Tre

In Sudan “dalla fine del 2024 l’esercito regolare (Saf) ha ripreso il controllo di alcune aree, inclusa la capitale Karthum, prima controllate dalle Forze di supporto rapido (Rsf).

E proprio in questi giorni la Saf si sta facendo strada nelle zone centro-occidentali del Paese”. Ma i paramilitari delle Rsf controllano ancora le zone del Darfur. Una situazione di stallo sul campo di battaglia come sul tavolo della diplomazia. Così Giorgio Musso, ricercatore in Storia e Politica dell’Africa all’Università degli Studi Roma Tre, descrive l’andamento della guerra civile in Sudan.

Dottor Musso, com’è cambiata la situazione sul campo in questi due anni di guerra?

“Nel primo anno e mezzo di guerra questa formazione paramilitare ribelle, Rapid Support Forces (Rsf), sembrava avere la meglio: aveva conquistato praticamente tutta la capitale e buona una parte delle zone centro-occidentali del Paese. Oggi, le Rsf controllano tutto il Darfur tranne la città di Al Fashir e sono comunque in grado, attraverso i droni, di colpire anche molto profondamente all’interno delle aree controllate dal governo.”

A che punto è la diplomazia?

“Il negoziato politico le due parti finora l’hanno sempre rifiutato e in questo momento non ci sono nemmeno grandi iniziative perché il mondo è tutto concentrato su altro, ovviamente, su Gaza e in seconda battuta sull’Ucraina. Questa è una delle ragioni per cui anche questo conflitto si sta prolungando nella totale inazione della comunità internazionale”.

Cosa lega Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita alle due fazioni in lotta?

“Gli Emirati Arabi Uniti hanno un legame con le Rsf da molto tempo e stanno cercando di espandere la loro influenza in tutta la regione dell’Africa nord-orientale sia in maniera pacifica –  con la costruzione di infrastrutture – che in maniera meno pacifica sostenendo delle guerriglie o dei governi. L’Arabia Saudita inizialmente ha tentato di avere una posizione equidistante perché comunque aveva dei buoni rapporti con le Rsf che nel 2015 hanno combattutto in Yemen al fianco dei sauditi. Poi, è gravitata verso le forze governative in una logica di rivalità con gli emiratini”.

Senza il sostegno di Riad e Doha i due eserciti hanno le risorse per proseguire la guerra?

 “Se domani i sauditi smettono di appoggiare l’esercito regolare, questo resta in piedi comunque come è rimasto in piedi nei primi tempi del conflitto, anche perché ha un ventaglio di sostenitori esterni più diversificato. Ma se per assurdo, domani gli Emirati Arabi Uniti decidessero improvvisamente di smettere di sostenere le Rsf, ho molti dubbi che queste sarebbero in grado di continuare ad operare”.

E la Turchia che ruolo ha in questa guerra?

“La Turchia, che insieme all’Egitto è una delle potenze maggiormente coinvolte, ha fornito i droni al governo di Port Sudan, i famosi Bayraktar, determinanti per riconquistare la capitale”.

Il Sudan può diventare una nuova Libia?

“Io la vedo un po’ più difficile perché mentre in Libia le due parti dello Stato (la Cirenaica e la Tripolitania) anche economicamente stanno in piedi da sole, in Sudan non è così”.

Spieghi meglio questo aspetto

“In un’ipotetica spartizione in due del Paese, simile allo scenario libico, l’esercito controllerebbe le aree centrali e orientali del Sudan e le Rsf sarebbero asserragliate in Darfur, una regione senza sbocco sul mare e impoverita da anni di guerra, che faticherebbe molto a stare in piedi in modo indipendente o anche solo come autonoma de facto. Inoltre, Dagalo ha iniziato la guerra per diventare il capo del Sudan e ha già mostrato di non accontentarsi di stare confinato in Darfur, quindi se continuerà a ricevere armi dall’esterno, continuerà comunque a condurre attacchi attraverso i droni, oppure incursioni nei territori controllati dall’esercito. Io non vedo una stabilizzazione ‘alla Libica’, in cui non c’è mai stato un negoziato, ma di fatto poco a poco si è congelata la situazione”.


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