Elisabetta Tarquini, giudice e consigliera della Corte d’appello di Firenze, è membro del sindacato Magistratura Democratica che da tempo ha lamentato i problemi tecnici dei braccialetti elettronici in un sistema giuridico che cerca con non poche difficoltà di agire sugli episodi di violenza.
Quali sono le circostanze che fanno scattare il Codice Rosso e in base a quali parametri il magistrato dispone il braccialetto elettronico?
“Il braccialetto elettronico è uno strumento di controllo aggiuntivo rispetto agli arresti domiciliari. Nei casi di violenza di genere o domestica si possono disporre anche l’allontanamento da casa o il divieto di avvicinamento alla vittima. Il nodo vero è che le misure cautelari scattano prima della condanna definitiva, quando c’è il rischio che l’indagato scappi o commetta altri reati. Noi giudici dobbiamo scegliere la misura più adeguata caso per caso, valutando la gravità di quanto accaduto e la proporzionalità della misura rispetto all’entità del fatto”.
Fastweb – la società che si è aggiudicata il servizio di fornitura dei braccialetti elettronici – lamenta una carenza di dispositivi. In che modo i magistrati ne tengono conto quando applicano un Codice Rosso?
“Il problema riguarda la fattibilità tecnica, e cioè la scarsità dei dispositivi e altri guasti legati alle zone senza copertura di rete. In questi casi il giudice sa di non poter disporre del braccialetto elettronico, ma non può neppure optare automaticamente per una misura cautelare più dura come il carcere. Deve sempre valutare se il divieto di avvicinamento da solo, senza braccialetto, sia sufficiente a tutelare la vittima. L’indagato non può essere penalizzato per carenze del sistema tecnico degli apparati di controllo, ma questo rende ancora più complesso il nostro giudizio”.
Considerando le criticità da lei stessa evidenziate nel versante giuridico, quali soluzioni vede per prevenire i femminicidi?
“Il diritto penale interviene sempre dopo che il reato è stato commesso, per cui al massimo possiamo tentare di evitare la reiterazione. I suoi limiti sono evidenti, anche nel contrasto alla violenza di genere. Per questo serve agire sulla cultura, per combattere le radici della violenza di genere e la visione che i rapporti di coppia e familiari siano relazioni di potere in cui non c’è spazio per autonome decisioni di vita da parte delle donne. Bisogna partire dalla scuola, dai giovani. Dati recenti e allarmanti mostrano che anche le nuove generazioni non sono affatto immuni a queste dinamiche”.


