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Malattie invisibili femminili, il dolore che c’è ma non si vede

di Elisa Ortuso03 Dicembre 2025
03 Dicembre 2025
Endometriosi

Endometriosi | Foto Canva.

Uno “scontrino del dolore” da oltre 8 mila euro, spesi in un anno per gestire i sintomi della propria malattia. L’attivista Giorgia Soleri usa i social per denunciare i costi che sostiene per curare la vulvodinia. L’attrice Nancy Brilli, invece, affida al palcoscenico di “Ballando con le stelle” la paura che l’ha accompagnata per anni di non poter avere un figlio a causa di una patologia diagnosticata troppo tardi: l’endometriosi. Entrambe, come milioni di altre donne, sono accomunate da un problema di salute: le malattie “invisibili”.

L’origine dell’invisibilità

Quale donna non ha mai sentito dire dalla propria mamma o nonna questa frase: “È normale avere dolore durante il ciclo, ce l’avevo anche io”? Parole che attraversano le generazioni e spesso hanno normalizzato il dolore femminile.

Marcello Ceccaroni, medico e direttore di Ginecologia e Ostetricia all’ospedale Sacro Cuore di Negrar di Valpolicella, in provincia di Verona, spiega a Lumsanews che queste malattie sono invisibili “perché abbiamo i paraocchi”, non perché lo siano davvero. 

Tra queste ci sono la vulvodinia, l’adenomiosi, la neuropatia del pudendo, il dolore pelvico cronico e l’endometriosi. Quest’ultima è l’unica che in Italia è riconosciuta nei LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza, quale disturbo cronico per il quale il Servizio sanitario nazionale garantisce una soglia minima di assistenza gratuita. In quanto si tratta di una patologia che “divora gli organi e in alcuni casi costringe a interventi chirurgici molto importanti”.

La visibilità dei dati 

L’endometriosi colpisce dai 3 ai 5 milioni di donne in Italia, dunque una donna su dieci ne soffre. Una malattia che, evidenzia Ceccaroni “ha la stessa incidenza del diabete”. Ad oggi sono ancora sconosciute le cause, ma sono noti i suoi sintomi. La dismenorrea, il dolore acuto durante le mestruazioni, e la dispaurenia, il dolore durante i rapporti sessuali sono i principali campanelli d’allarme.

Per questo disturbo la scienza offre principalmente la terapia ormonale che, abbinata a integratori, regimi nutrizionali antinfiammatori ed esercizio fisico, può aiutare la paziente ad affrontarlo, evitando di ricorrere alla chirurgia a cui si arriva solo “in casi molto seri”, spiega il medico. 

Inoltre, l’endometriosi è la prima causa di infertilità femminile. La gravidanza blocca la sua evoluzione, ma nella società odierna “una donna rimane incinta in media tra i 31 e i 32 anni” quando il primo ciclo (e quindi i primi effetti della malattia) arriva mediamente “verso i 12 anni”, dunque la malattia agisce per anni indisturbata.

In Italia il ritardo diagnostico per l’endometriosi è di circa dieci anni. “I primi cinque anni di ritardo nella diagnosi, dall’insorgenza dei sintomi, – afferma Ceccaroni – sono dovuti alla normalizzazione del dolore”, mentre “gli altri cinque anni sono dovuti a una rete sanitaria che purtroppo non fornisce una diagnosi in tempi ragionevoli”. 

“Il 40% delle donne – spiega Ceccaroni –  cambia la propria vita professionale o di studi in funzione della malattia”. Una condizione che peggiora nel momento in cui “un medico non riconosce il dolore e si rafforza l’idea nella donna che è tutto nella sua testa”. Non essere credute è forse l’aspetto più drammatico di questo male e in casi molto gravi può mettere a rischio anche la sopravvivenza delle pazienti, come è accaduto a Valentina. 

La voce del dolore

Nell’estate del 2024 Valentina è in Portogallo e si sente male. Le sue condizioni di salute precipitano e rischia di perdere un polmone. “Respiravo a fatica e avevo dolore toracico. Nella notte sono andata al pronto soccorso: stavo avendo un pneumotorace catameniale, un collasso del polmone che avviene in coincidenza del primo giorno di ciclo”. 

La risposta è nell’esame istologico: Valentina è affetta da endometriosi pelvica e toracica. Una vita segnata da dolori lancinanti ai quali però nessun medico in Italia aveva dato un nome. 

Se l’endometriosi le fosse stata diagnosticata precocemente – racconta Valentina  – non avrebbe sottovalutato altri sintomi che la affliggevano durante il ciclo e forse il suo polmone destro non sarebbe collassato. Nonostante la diagnosi, la qualità della vita di Valentina è compromessa per sempre. “A oggi sono in menopausa chimica e ho una qualità della vita molto bassa”. 

L’importanza del supporto psicologico

La fatica. È questa la prima sensazione che riferisce allo psicologo una donna affetta da endometriosi. Poi, il bisogno di essere ascoltata e creduta. La psicoterapeuta Gaia de Campora spiega come l’arrivo di una diagnosi sia solo il punto di partenza, la rinegoziazione dell’identità della donna. 

“Quando la patologia viene riconosciuta”, dice De Campora ,“si sentono sollevate, ma poi sopraggiungono rabbia, tristezza e disperazione, fino all’accettazione. Per la paziente è come un lutto e per superarlo deve attraversare tutte le tappe di elaborazione”. E in questo processo di rinascita, il supporto psicologico gioca un ruolo chiave. “Le donne che seguono percorsi integrati si sentono sollevate e traggono un maggior beneficio dal trattamento medico”. 

I ritardi del sistema Italia

I nuovi LEA sull’endometriosi sono entrati in vigore solo il 30 dicembre 2024 ma l’esenzione del ticket è prevista solo per chi ha le forme più gravi. Le altre sono costrette a coprire da sole tutte le spese. 

Annalisa Frassineti, presidente di Associazione Progetto Endometriosi, spiega come “lo Stato ha disposto che ogni Regione faccia una propria legge e abbia una struttura per gestire le pazienti con endometriosi, ma non tutte si sono adeguate”. Mancano spesso i centri specializzati. 

Uno sguardo al futuro: che cosa si può fare?

L’endometriosi c’è, ma rimane “invisibile”. Ha bisogno di essere conosciuta per essere poi riconosciuta. Un primo passo in questa direzione può avvenire attraverso la divulgazione. “I medici devono scendere dal piedistallo e iniziare a fare i conti con il fatto che la maggior parte delle persone tra i 17 e i 22 anni usa TikTok come prima piattaforma per informarsi sulla salute”, afferma Francesco Di Chiara, chirurgo specialista in endometriosi ad Oxford, che ha iniziato a parlare di questa patologia sui social. 

Da un lato serve informare le donne, dall’altro serve formare il personale sanitario. “La crescita di consapevolezza sull’endometriosi sta portando a una maggiore presa di coscienza verso altre condizion spesso associate come la vulvodinia”, spiega il ginecologo Ceccaroni. 

La chiave per il futuro di malattie che non si vedono – ricorda – è una: la cultura.

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