Ilaria Alpi, venticinque anni di mancate verità

Somalia, 20 marzo 1994: la giornalista del Tg3 Rai Ilaria Alpi e il suo operatore Miran Hrovatin vengono uccisi da un commando a Mogadiscio, in una via a pochi passi dall’ex ambasciata italiana. Nei giorni precedenti, lavorando a un’inchiesta su un traffico di rifiuti tossici, si sono ritrovati in una zona grigia nella quale si muovevano militari, funzionari dell’Onu, servizi segreti, contrabbandieri d’armi e trafficanti di rifiuti tossici.

Dopo venticinque anni, molti processi e una commissione parlamentare, non si sa ancora chi faceva parte del commando, composto da almeno sette uomini, che ha freddato a colpi di kalashnikov i due giornalisti, né chi siano i mandanti dell’esecuzione.

L’unico a scontare quasi diciassette anni di carcere, con l’accusa di essere uno degli esecutori materiali del duplice omicidio, è stato Hashi Omar Hassan. Condannato nel 2003 a ventisei anni di reclusione, ha ritrovato la libertà soltanto dopo che, nel 2015, la trasmissione “Chi l’ha visto?” ha rintracciato a Birmingham il suo principale accusatore nel processo: Ahmed Ali Rage, detto “Jelle”.

Omar Hassan“Jelle” ha ammesso di aver dichiarato il falso “in quanto gli italiani avevano fretta di chiudere il caso” e che in cambio dell’accusa nei confronti di Hashi gli erano stati promessi soldi e la possibilità di lasciare la Somalia. Alla luce dei nuovi sviluppi il tribunale di Perugia, nel gennaio 2017, ha assolto Hashi, che ha poi ottenuto il riconoscimento di un risarcimento di tre milioni di euro.

Prima di quel fatale ultimo viaggio, Ilaria Alpi ne aveva compiuti sei in Somalia, il primo nel dicembre del 1992. Documentava per il Tg3 le operazioni dell’esercito italiano nell’ambito della missione di pace “Restore Hope”, voluta dalle Nazioni Unite per riportare ordine nello stato dell’Africa orientale, dopo lo scoppio della guerra civile a seguito della caduta del dittatore Siad Barre.

Restore HopeIlaria però non era una giornalista che si accontentava di attendere comodamente in albergo notizie preconfezionate, né di riportare i resoconti ufficiali delle conferenze stampa dei generali. Come raccontato dal suo direttore dell’epoca, Andrea Giubilo, “amava ricercare e inseguire la notizia, per poi presentarla dal punto di vista della telecamera, quindi dello spettatore, senza mai cedere a personalismi”.

Così, inseguendo la notizia, Ilaria aveva scoperto che la Somalia, priva di una guida e divisa per sfere di influenza tra signori della guerra, era terreno fertile per la proliferazione dei più inconfessabili traffici illeciti. Traffici dal consistente ritorno economico per i vari ras locali, ma che non potevano avvenire senza la copertura o addirittura la connivenza di militari e servizi segreti dei Paesi coinvolti nella missione ONU.

La pista battuta dalla giornalista romana l’aveva portata sull’autostrada Garoe-Bosaso, che per chilometri e chilometri attraversava il nulla, dunque apparentemente poco utile, ma che poteva essere ottima per seppellire bidoni di rifiuti tossici. Nel porto di Bosaso (anonimo villaggio di pescatori nel Nord della Somalia) avvenivano movimenti molto sospetti. Presunte navi da pesca, che non contenevano celle frigorifere, erano misteriosamente affondate con carichi sospetti a bordo.

Ilaria AlpiL’ipotesi è che quei pescherecci, appartenenti alla compagnia Shifco, che faceva parte di un progetto di cooperazione promosso dall’Italia, “percorressero delle rotte anomale”, come ci ha spiegato Maurizio Torrealta, giornalista d’inchiesta e coautore, insieme a Mariangela Gritta Grainer e Luciana e Giorgio Alpi, del libro “Esecuzione, l’uccisione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin”.

Ufficialmente avrebbero dovuto semplicemente trasportare il pesce pescato in acque somale, seguendo la rotta commerciale sud¬-est, ma in “almeno un paio di viaggi” una delle navi della flotta, la Faarax Omar, ha seguito un’altra direzione, puntando verso nord-ovest e toccando “cinque città nei pressi di reattori nucleari”.

Ilaria Alpi avrebbe dunque scoperto un collegamento tra il trasporto delle scorie radioattive e lo smaltimento, che avveniva attraverso la sepoltura dei rifiuti, ricoperti con il cemento, nei terreni scavati per la realizzazione di diverse infrastrutture come l’autostrada nel deserto Garoe-Bosaso.

Ilaria Alpi2Le prime incongruenze nella conduzione delle indagini sul duplice omicidio e i segnali di possibili depistaggi, furono evidenti già subito dopo il ritorno delle salme dei due giornalisti dalla Somalia. Il pm di turno non dispose l’autopsia sul corpo di Ilaria, ma solo un esame medico esterno, e dagli effetti personali, che accompagnavano i corpi nel volo da Mogadiscio, sparirono due taccuini e una parte del materiale girato da Hrovatin.

Mai del tutto chiarito poi il rapporto con una presunta fonte della giornalista, Vincenzo Li Causi, esponente dei servizi segreti italiani, appartenente all’organizzazione paramilitare Gladio, legata a Stay-behind, voluta dalla CIA per contrastare un’ipotetica invasione sovietica dei Paesi occidentali. Li Causi è stato ucciso in circostanze misteriose in Somalia il 12 novembre 1993, quattro mesi prima dell’agguato di Mogadiscio.

Il bandolo della matassa avrebbe dovuto trovarlo la commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin. Istituita nel luglio 2003, presieduta dall’onorevole Carlo Taormina, concluse i lavori nel febbraio 2006 con una relazione molto discussa, approvata a maggioranza, che sostanzialmente circoscriveva il duplice omicidio “nell’ambito di un tentativo di rapina o di sequestro di persona a danno di cittadini occidentali”.

Lo stesso Taormina utilizzò parole sgradevoli riguardo all’ultimo viaggio dei due giornalisti Rai in Somalia, definendolo “una vacanza” in un’intervista del 2006 all’Unità. Un’espressione “infelice” per l’onorevole Bobo Craxi, all’epoca membro della commissione, che considera “tardiva” l’iniziativa, “lontana nove anni dai fatti accaduti”.

Venticinque anni dopo, sembra difficile da stabilire se la morte di Ilaria e Miran rimarrà ancora avvolta in un alone di mistero, come molte altre oscure vicende italiane. L’augurio è che l’assassinio di due giovani e coraggiosi giornalisti alla ricerca di una verità “scomoda” non rimanga impunito.