Microdosing, la tentazione psichedelica dei tycoon

Piccole dosi di sostanze psicoattive per far fronte ai ritmi della vita e alla “depressione”. All’interno dei più rinomati uffici della Silicon Valley il microdosing si sta rapidamente consolidando come un’eccezionale pratica terapeutica. Elon Musk, fondatore di Tesla e SpaceX, secondo una recente inchiesta del Wall Street Journal, ricorre all’uso di psichedelici per combattere l’insonnia e alleviare lo stress. A confermarlo lo stesso Musk: “Da quello che ho visto con gli amici, la ketamina presa occasionalmente è l’opzione migliore”, ha confessato con un tweet su X nel giugno del 2023.

Post di Elon Musk su X

Come lui anche Sergey Brin, cofondatore di Google, si affiderebbe ai funghi allucinogeni per aumentare la produttività sul lavoro e migliorare le sue prestazioni. Sono solo alcuni esempi celebri che qualificano il microdosaggio come una moda in ascesa negli ambienti d’élite. Sul fenomeno, però, ci sono ancora tante incognite. “Effetti come mal di testa e sogni strani sono comuni per il microdosaggio di funghi?”, “Si può fare microdosing se si assume già Adderall per l’ADHD?”, “Qualcuno sa se il microdosing può aiutarmi con la mia disprassia?”. Sono alcune delle domande che appaiono sul Microdosing Institute, un network statunitense aperto a tutti coloro che si affacciano al mondo del microdosaggio di psichedelici.

Messaggio apparso sulle chat del Microdosing Institute

Le risposte, spesso non esaustive, risultano confuse e si rifanno alle esperienze personali (di account anonimi) che tentano di chiarire i dubbi dei tanti utenti interessati a usare, come fanno molti dei personaggi più influenti del mondo, gli psichedelici.       

Un fenomeno controverso 

Le ricerche effettuate finora sul microdosaggio non sono consolidate e non derivano da sperimentazioni scientifiche, bensì da racconti aneddotici e sondaggi effettuati su campioni limitati. Lo psicologo clinico Vincenzo Caretti spiega a Lumsanews che il “fenomeno è controverso”. Nel 2017, attraverso una serie di domande online a un numero non ben precisato di persone, un gruppo di ricercatori dell’Università di Toronto in Canada ha tentato di definire gli effetti principali del microdosaggio di psichedelici. Dallo studio è emerso che il 26,6% degli intervistati sostiene di aver riscontrato un miglioramento dell’umore e una riduzione dei sintomi depressivi; il 14,8% un miglioramento della concentrazione; mentre il 12,9% un incremento della creatività.

Il metodo Fadiman

Queste ricerche approfondiscono l’ampio lavoro effettuato da James Fadiman che, con il suo libro The Psychedelic Explorer’s Guide, ha evidenziato per primo, a partire dagli anni ‘60, le potenzialità terapeutiche delle sostanze psicoattive, soprattutto l’LSD e la psilocibina, le più utilizzate per il microdosing.

Fonte: The Psychedelic Explorer’s Guide 

Il protocollo di Fadiman si affida a regole ferree: una microdose ogni tre giorni e un dosaggio di circa 0.000005 grammi di LSD o 0,4 grammi di funghi con psilocibina. Quantitativi da seguire alla lettera per evitare trip allucinogeni e rendere inefficace la pratica clinica.

Sotto la lente degli scienziati

Il microdosing, secondo Caretti, non è l’unica soluzione a cui bisogna fare affidamento: “Il successo di un trattamento – spiega –  dipende dall’alleanza terapeutica che si instaura tra psicologo-psichiatra e paziente”. L’uso di psichedelici, infatti, risulta solo un espediente a cui si può scegliere di ricorrere anche in autonomia, senza la supervisione di un professionista, tenendo bene a mente l’impatto che provocano sulla salute mentale (e in generale sul benessere fisico). “In questo caso è essenziale comprendere il funzionamento di personalità. I casi più vulnerabili possono slatentizzare ulteriori vulnerabilità e provare esperienze di carattere psicotico”, sottolinea Caretti. Una serie di rischi, dunque, ben calcolati, a cui però va aggiunta la proprietà degli psichedelici di non creare dipendenza rispetto ad altre sostanze, come la cocaina. Per Anna Lembke, psichiatra americana ed esperta in medicina delle dipendenze, è un “mito che gli psichedelici non creino dipendenza”: “Qualsiasi tipo di droga che altera lo stato mentale in modo rapido ha il potenziale per poterlo fare”, spiega.

La mancanza di informazioni scientifiche chiare sul microdosing, considerato illegale nella maggior parte dei Paesi europei, limita secondo Marco Pistis, professore ordinario di Farmacologia all’università di Cagliari, “la capacità di determinare precisamente i meccanismi d’azione e di stabilire soglie di sicurezza ed efficacia”. Non bisogna sottovalutare, quindi, le proprietà potenzialmente dannose. “Dosi anche molto piccole – aggiunge Pistis – possono indurre effetti psichici molto intensi”. Il farmacologo comportamentale Paolo Nencini introduce anche il concetto di “effetto placebo”. Le reazioni apparenti del microdosing, secondo l’esperto, sono frutto delle “aspettative del soggetto”, una sorta di “condizionamento associativo”, influenzato dalle esperienze comuni. Anche in questo caso, però, i benefici “fittizi” riscontrati da molti soggetti rischiano di condizionare negativamente gli individui più “fragili e suggestionabili”.  

 I limiti della ricerca 

Le barriere imposte dalla legge quindi si scontrano con quelle della ricerca. A differenza di altri Paesi – in Europa trainano Portogallo e Germania -, che investono negli studi per approfondire l’uso medico delle sostanze psichedeliche, l’Italia risulta ancora molto indietro e sembra credere poco in queste “terapie”, su cui, come abbiamo visto, regna ancora  incertezza. Le uniche iniziative politiche affini al microdosaggio si sono concentrate finora solo sulla cannabis. L’Italia dal 2006 consente l’uso di quella terapeutica, anche se  permangano problematiche di produzione, approvvigionamento e formazione del personale sanitario. Negli Stati Uniti, invece, a operare attivamente nel campo della medicina psichedelica è la società no-profit MAPS (Associazione Multidisciplinare per gli Studi Psichedelici), impegnata a creare un contesto legale e culturale più favorevole all’uso terapeutico delle sostanze psicoattive. 

Nonostante tutto, così come in Italia e Europa, anche sul suolo americano aleggiano ancora forti dubbi sull’effettivo ruolo terapeutico del microdosaggio di allucinogeni, al momento appannaggio di iniziative individuali e spesso elitarie. Stroncature alternate a dubbi in una battaglia che si combatte sia sul fronte medico, che su quello socio-economico e su quello mediatico. “Il punto”, conclude lo psicoanalista Caretti, “è che sull’efficacia di questo tipo di trattamento farmacologico-psichiatrico non ci sono ancora ricerche consolidate condotte su campioni significativi. Per questo starei molto attento, oggi, a considerare il microdosing una cura alternativa contro ansia e depressione”.