La curatrice dell'Ara Pacis"Meno direttori super pagatiservono più giovani esperti"

Rossini a Lumsanews:"Con certi stipendi si pagherebbero dieci archeologi"

Orietta Rossini è la curatrice responsabile del Museo dell’Ara Pacis di Roma, sotto la direzione di Claudio Parisi Presicce. Ha scritto due libri sull’Ara Pacis e uno di didattica museale sulle strutture romane.

Come si è sviluppato il progetto dell’Ara com’era? È stata una volontà del museo quella di rivolgersi alla tecnologia per ampliare la parte artistica?

Nasce da una mia idea, quella di sviluppare digitalmente il colore e proiettarlo sui pannelli dell’Ara. Una restituzione virtuale del colore che non avrebbe avuto nessuna conseguenza sui marmi, ma avrebbe prodotto una risposta emotiva forte contro il pregiudizio, altrettanto forte, che i marmi antichi fossero tutti bianchi. Senz’altro un modo di valorizzare l’opera con la tecnologia. Poi alcuni sovrintendenti si sono fatti prendere la mano e hanno voluto spettacolarizzare ulteriormente rendendolo un percorso multimediale, con tanto di occhiali e realtà aumentata. Un modo differente di visitare l’Ara, in cui in 45 minuti si apprende qualcosa per cui sarebbero necessarie almeno 50 pagine di libro.

Dall’ottobre 2016 ad oggi, gli introiti e i visitatori del museo sono aumentati in maniera cospicua? Avete rilevato un feedback positivo da parte degli spettatori?

Abbiamo un piano di rientro triennale, dato che l’istallazione è stata realizzata con gara pubblica ed è costata molti soldi, per ora è tutto rispettato. I visitatori che vengono di sera non sono gli stessi che vengono normalmente a visitare l’Ara. Si tratta di un altro pubblico: giovani interessati alla tecnologia, stranieri, persone incuriosite che dobbiamo anche pensare come clienti differenti.

Una delle modifiche più radicali per il mondo dei musei italiani è stata la Legge Franceschini del 2014. Cosa ne pensa? Approva le modifiche proposte?

Io lavoro nell’unica sovrintendenza italiana che dipende da un ente locale, cioè il Comune di Roma, quindi parlo da esterna. Nell’arco di trent’anni e con 21 musei da gestire, è riuscita davvero a diventare un’offerta per la città. Specie con le mostre, stiamo rispondendo alle esigenze di una città come Roma e questo è stato reso possibile solo grazie ad una massiccia assunzione di giovani specializzati. A mio giudizio sarebbe stato meglio se Franceschini avesse usato quei fondi per nuovi giovani, non per direttori altisonanti. Queste persone si trovano poi totalmente disorientate, di solito non si intendono della materia e prendono uno stipendio con cui si possono pagare anche dieci archeologi. Devono quindi essere supportate da figure che vengono prelevate dai migliori apparati amministrativi di altri servizi dello Stato, specie per gestire i rapporti con i sindacati. Certo con le loro tecniche si aumentano i visitatori, ma poi i beni culturali perdono il loro significato.

Da qualche tempo la rivoluzione tecnologica e social delle strutture museali ha portato il mondo della cultura a parlare di spettacolarizzazione, marketing e svuotamento di contenuti, lei cosa ne pensa?

C’è oggi una semplificazione dei contenuti perché ogni mezzo deve trovare il suo linguaggio. I social funzionano e attraggono, anche a trasmettere meglio alcuni contenuti e a diffondere le novità dei musei. Non sono un male, sono un’aggiunta.

Gloria Frezza

Gloria Frezza (Ortona a Mare, 13/12/1991) Nel 2010 si trasferisce a Roma per studiare Lettere Moderne all’Università La Sapienza. Completato il ciclo triennale, intraprende una Laurea Magistrale in Editoria e Scrittura nel medesimo ateneo, che conclude con il massimo dei voti nel gennaio 2016. Dal 2014 collabora con la testata online “Ghigliottina”, scrivendo di cultura ed eventi. Dall’ottobre 2016 è iscritta al Master Biennale in Giornalismo dell’Università Lumsa di Roma.