Allarmi mai scattati. Malfunzionamenti dei braccialetti elettronici. Ritardi nell’attivazione del Codice Rosso. Il copione si ripete sempre più spesso. Donne che chiedono aiuto per salvarsi da uomini violenti prima che sia troppo tardi. Un grido che resta più volte inascoltato. L’ultimo caso è quello di Jessica Strapazzollo, 33 anni, uccisa a coltellate il 28 ottobre a Castelnuovo del Garda dall’ex compagno Douglas Reis Pedroso. L’uomo aveva l’obbligo di indossare un braccialetto elettronico. Dispositivo che avrebbe dovuto attivarsi in caso di avvicinamento all’ex, ma così non è stato. È riuscito a sfilarselo e ad agire indisturbato. Prima di lei, Tiziana Vinci a La Spezia, Celeste Palmieri a San Severo, Carmela Ion a Civitavecchia. Tutte vittime di un sistema di protezione che non ha funzionato e che rischia di fallire ancora.

Foto Arma dei Carabinieri
Secondo i dati del Viminale aggiornati al 15 agosto 2025 sono 12.192 i braccialetti elettronici attualmente in uso in Italia. Di questi, 5.529 sono stati attivati a seguito di denunce per stalking. Il dispositivo si compone di due parti, un braccialetto da applicare alla caviglia dell’accusato e uno smartphone da consegnare alla vittima.

Le falle nel sistema giuridico
L’utilizzo del dispositivo per i reati legati alla violenza di genere è stato reso obbligatorio e rafforzato con la legge 168 del novembre 2023. “Il cosiddetto Codice Rosso rafforzato”, spiega a Lumsanews l’avvocata Rossella Benedetti, legale dell’associazione Differenza Donna ong, “ha lo scopo di intervenire tempestivamente e provvedere alla valutazione del rischio di recidiva”. Dopo la denuncia della vittima, il pubblico ministero ha massimo 30 giorni di tempo per decidere sulle misure cautelari. Mentre l’installazione del dispositivo elettronico, se disposto dal giudice, deve avvenire entro quattro giorni.
È questa la prima falla nel sistema. “Spesso i dispositivi vengono consegnati a distanza di giorni o addirittura di mesi dall’esecuzione della misura. Si lascia la donna in un limbo”, accusa la penalista. Succede così che la mancanza dei dispositivi mette in difficoltà il giudice, che deve tutelare i diritti di chi denuncia ma anche del denunciato. Lo racconta Elisabetta Tarquini, consigliera della Corte d’appello di Firenze: “Non si può decidere automaticamente una misura cautelare più pesante, come il carcere, solo perché mancano i dispositivi”.
Troppe richieste, pochi dispositivi. Le falle di Fastweb
L’origine dei ritardi nella consegna sarebbe da ricollegarsi a Fastweb, l’azienda che si è aggiudicata il bando di gara per la produzione dei braccialetti elettronici prima nel 2018 e poi di nuovo nel 2022. Secondo gli ultimi accordi con il ministero della Giustizia, Fastweb si è impegnata ad attivare mensilmente un massimo di 1200 braccialetti elettronici. Ma la legge 168 ha ampliato i casi di applicazione di questo dispositivo elettronico, ed è esplosa quindi la domanda. A questo si aggiunge l’impennata degli ammonimenti del questore registrata nel 2025: sono aumentate rispetto al 2024 dell’86,4% le denunce per stalking e del 63,6% quelle per violenza domestica.

Eppure Fastweb respinge ogni responsabilità. Nelle ultime note ufficiali la società sostiene che “il numero di braccialetti in uso dipende esclusivamente dalle attivazioni e disattivazioni disposte dalle autorità competenti”. Un’affermazione contestata dagli uffici giudiziari che in questi mesi si sono rivolti al ministero della Giustizia per lamentare l’operato dell’azienda. Da via Arenula è partita una circolare nella quale si sottolinea che “nessuna difficoltà logistica o mancanza di dispositivi può giustificare ritardi nell’attivazione”.
Ad avere dubbi sul contratto di Fastweb è anche la senatrice del Partito democratico Valeria Valente, componente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul femminicidio, che conferma l’avvio di verifiche sul caso. “Rappresentanti di Fastweb sono stati auditi dalla Commissione ma l’audizione è stata secretata, quindi non posso divulgare le informazioni fornite”, rivela Valente. E sugli accordi ad oggi in essere tra azienda e ministero aggiunge: “A mio avviso il contratto andrebbe rivisto. Si deve rispondere a queste criticità con urgenza perché si rischia che il braccialetto elettronico perda credibilità”.
Il problema del monitoraggio, la protesta della Polizia
A ribadire l’entità del problema tecnico è Francesca Fava, direttrice del servizio Controllo del territorio del dipartimento della Polizia. Durante la sua audizione alla Camera, Fava ha segnalato l’aumento della richiesta di dispositivi, ma anche i malfunzionamenti che paralizzano il sistema e rallentano l’intervento delle forze dell’ordine. Alla polizia giudiziaria spetta infatti monitorare i dispositivi ma anche gestire i guasti tecnici. Un incarico che gli agenti contestano, non avendo le necessarie competenze informatiche per farlo.
“Riceviamo almeno 300 falsi allarmi al giorno”, dice Daniele Izzo, segretario generale del Sindacato autonomo di Polizia (Sap), sezione di Benevento, “ma il problema è legato in particolare alla copertura di rete”.
Nessuna soluzione senza rieducazione
I numeri e le testimonianze degli addetti ai lavori convergono su un punto. A oggi il Codice Rosso presenta criticità profonde. Dalle lacune legislative ai guasti tecnici, gli allarmi arrivano da chi lavora in prima linea. Alla consapevolezza di far parte di un sistema che non va se ne aggiunge un’altra: gli strumenti tecnologici da soli non bastano, l’unica vera prevenzione è la rieducazione culturale.
Lo sanno bene al Centro di ascolto uomini maltrattanti, attivo dal 2009. “Lavoriamo su percorsi psicoeducativi per chi ha commesso violenza. Condizione essenziale? la motivazione al cambiamento”, raccontano i responsabili. Un’educazione affettiva che manca non solo agli adulti ma anche ai giovanissimi. “Gli adolescenti non sono immuni da certe dinamiche”, conferma la magistrata Tarquini. “La battaglia alla violenza di genere si combatte soprattutto educando loro, il futuro della nostra società”.


