REGGIO CALABRIA – Si faceva chiamare “il padrone di Gioia Tauro” il boss Pino Piromalli, detto “Facciazza”, intercettato dalla Procura antimafia di Reggio Calabria e arrestato martedì mattina dei carabinieri del Ros nel blitz dell’operazione “Res Tauro”. L’ordinanza, emessa dal gip su richiesta del procuratore Giuseppe Borrelli e dell’aggiunto Stefano Musolino, ha portato alla custodia cautelare in carcere di 26 indagati. Le accuse sono di vario titolo: dall’associazione di tipo mafioso, all’estorsione, riciclaggio e detenzione illegale di armi e munizioni.
Pino “Facciazza” Piromalli
Considerato il capo cosca di Gioia Tauro, Piromalli era stato arrestato nel 1999 dopo sei anni di latitanza. Era tornato in libertà nel 2021 dopo aver trascorso ventidue anni in carcere al 41 bis per associazione mafiosa e estorsione. Il suo business si fondava principalmente sulla raccolta di appalti pubblici per i lavori del porto di Gioia Tauro insieme alla famiglia Molé. Poi la lunga detenzione per Piromalli. Anni nei quali l’attività mafiosa dello “sfregiato” non si placa. All’età di ottant’anni Pino “Facciazza” riprende infatti le redini della cosca e riscrive le dinamiche criminali interne al clan attraverso un’opera di restauro della cosca stessa da lui definita “sta tigre che è Gioia Tauro”.
L’inchiesta che ha portato all’arresto di Piromalli
Piromalli è stato di nuovo messo sotto inchiesta dalla Procura di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione “Hybris”, all’epoca guidata da Giovanni Borbardieri, sapendo che il boss ormai anziano non sarebbe andato facilmente in pensione. Nel 2019 infatti, secondo quanto emerso dalle indagini, era stato lo stesso Piromalli a comporre la commissione istituita per decidere se la ‘ndrangheta calabrese avrebbe potuto partecipare alle stragi di Stato pianificate dalla mafia siciliana. In base a quanto ricostruito, infatti, “Facciazza” era tornato al comando della direzione strategica-operativa del clan assieme ai suoi fratelli Gioacchino e Antonio, di 91 e 86 anni.