Ospedali, presto mancherà un medico su dieci

Entro il 2025 in Italia mancheranno all’appello almeno 16.500 medici specialisti. A lanciare l’allarme uno studio condotto da Anaao Assomed, l’Associazione Medici Dirigenti, che ha mappato il territorio italiano regione per regione.

La mancanza di personale all’interno del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) e l’accelerazione dei pensionamenti, dopo l’introduzione della “Quota 100” prevista nella Legge di Bilancio 2019, stanno rapidamente assumendo i contorni di una vera emergenza nazionale, a cui vanno poste soluzioni concrete e rapide per evitare il collasso del sistema.

Alla base del dissesto ci sono fondamentalmente due motivazioni. La prima riguarda il pre-pensionamento: nel 2018 è iniziata l’uscita dal sistema dei nati nell’anno 1953, circa settemila medici. Nel triennio 2019-2021, che interesserà secondo le direttive della legge “Fornero” essenzialmente i nati dal 1954 al 1956, lasceranno il loro posto di lavoro tra sei e settemila medici l’anno, per un totale di circa ventimila unità.

Foto Pixabay

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Con la “Quota 100”, in vigore sempre tra il 2019 e il 2021, si acquisirà il diritto ad un pensionamento anticipato a 62 anni di età, considerato che la grande maggioranza dei medici è in possesso del requisito dei 38 anni di contribuzione previdenziale. Quindi entro il 2021 i pensionamenti possibili si attestano intorno ai 38.000.

In molti auspicavano che l’accelerazione dei pensionamenti garantisse un intercambio generazionale, per consentire ai medici più giovani di cominciare a svolgere la professione in tempi brevi. Lo studio di Anaao Assomed dimostra però che non sarà così.

Nei prossimi anni mediamente si laureeranno circa diecimila medici ogni dodici mesi, ma il numero di contratti di formazione post laurea, che soltanto nel 2018 è arrivato a circa 7.000, è da tempo insufficiente a coprire la richiesta di specialisti e di percorsi formativi rispetto al numero di laureati. Si è determinato, così, un “imbuto formativo”, che nel tempo ha ingabbiato in un limbo circa diecimila giovani medici, che aumenteranno nei prossimi cinque anni fino ad oltre 20.000. Laureati destinati a ritentare l’ammissione alle scuole specialistiche o a lasciare il nostro Paese.

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A pesare anche le differenti qualifiche professionali. Vi è una carenza di iscritti verso determinate branche, testimoniate dal recente censimento Als, l’Associazione Liberi Specializzandi. Scorrendo le graduatorie, dai dati raccolti risulta evidente che alcune specializzazioni risultano scarsamente appetibili. È il caso di chirurgia toracica (assegnate appena il 15,1% delle borse), chirurgia generale (il 31%), chirurgia vascolare (il 34,4%), ortopedia e traumatologia (la percentuale sale al 47,2%).

“Bisogna agire in fretta prima che sia troppo tardi. Nella peggiore delle ipotesi potrebbero non esserci abbastanza chirurghi in sala operatoria”. A denunciarlo a LumsaNews il dottor Pierluigi Marini, presidente di Acoi, l’Associazione Chirurghi Ospedalieri Italiani. “Il problema della carenza di medici non si risolve sostituendo i professionisti che se ne vanno con gli specializzandi, che devono essere formati bene e inseriti nel mondo del lavoro dopo aver completato la giusta formazione. Un chirurgo deve concludere il proprio iter formativo per essere autonomo”. 

È in questo contesto che si inserisce il Veneto, la regione che, insieme al Molise, soffre di più per la carenza di personale medico: quasi 1.300 professionisti mancano all’appello, con un’autentica emergenza in Pronto soccorso. La situazione è così critica che il governatore veneto, Luca Zaia, lo scorso ottobre, ha dato la possibilità ai laureati, non ancora specializzati, di inserirsi nelle strutture ospedaliere con contratti di lavoro autonomo. Una decisione che nell’immediato ha consentito di fronteggiare il problema ma che adesso si sta dimostrando inutile, considerata la mancanza di una strategia a lungo termine definitivamente risolutiva.

Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia (Foto ufficio stampa Giunta Regionale Veneto)

Nonostante la penuria di personale medico, proprio in Veneto è scoppiato un caso paradossale. Nei giorni scorsi infatti alcune dottoresse straniere sono state costrette a lasciare il proprio posto di lavoro a causa di discriminazioni razziali. Il loro caso è stato sollevato dal presidente di Amsi, l’Associazione medici stranieri in Italia, Foad Aodi.

“Ci è stata segnalata la difficoltà, per le donne musulmane, di integrarsi all’interno del contesto ospedalieroracconta a LumsaNews il dottor Aodi –. Le dottoresse cominciano a lavorare in una clinica, ma dopo un po’ mancano i pazienti, che si rifiutano di farsi visitare da loro. Hanno paura del velo e di ciò che secondo loro rappresenta”.

“Le discriminazioni nei confronti dei professionisti stranieri sono aumentate negli ultimi anni del 35% e quasi il 60% dei pazienti dichiara di non voler essere visitato da dottoresse con il velo”, conclude amaramente il presidente dell’Amsi.

Cinque dottoresse provenienti da Somalia, Sudan e Palestina hanno preferito muoversi verso Belgio, Olanda e Inghilterra. Tra di loro c’è Fara (utilizziamo un nome di fantasia), che ha vissuto in prima persona la diffidenza della gente. “Ho deciso di tornare in Qatar, perché qui in Italia non avevo più pazienti. Ho ricevuto il sostegno dei colleghi, ma non è bastato”, evidenzia con amarezza la giovane dottoressa.