Stupri di Stato in Somalia: il Presidente Hassan riconosce responsabilità delle truppe nelle violenze

Un po’ di giustizia in Somalia. Forse. Dopo mesi passati a negare l’evidenza dei fatti, il governo somalo ha dichiarato, per la prima volta, di essere a conoscenza che le proprie forze di sicurezza sono coinvolte in casi di stupro. Resisi responsabili di casi orribili che hanno catalizzato l’attenzione delle organizzazioni internazionali sul caso. I comandanti delle truppe hanno, da sempre, rigettato ogni accusa difendendo, e spesso anche accusando le vittime, i propri soldati. Solitatamente le accuse erano poi rigirate contro i ribelli della formazione qaedista al Shabab che indossano uniformi militari piuttosto simili a quelle dell’esercito somalo. Il presidente Hassan Sheikh Mohamud, durante un incontro coi cadetti a un campo di addestramento a Modadiscio, lo scorso lunedì, ha confermato le accuse contro le forze armate somale, dichiarando che l’esercito deve combattere per sbarazzarsi di questi elementi impresentabili. La situazione era diventata ingestibile dopo il caso di una donna, stuprata selvaggiamente da alcuni militari, incarcerata insieme al giornalista che l’aveva intervistata. Martedì scorso entrambi erano stati condannti al carcere, scatenando la reazione di alcune tra le più agguerrite organizzazioni internazionali per la difesa dei diritti umani. La ventisettenne era stata accusata di aver vituperato le istituzioni, e la Corte si era pronunciata contro l’ipotesi dello stupro, adducendo presunte visite mediche che avevano negato un rapporto non consensuale. Per la ragazza, già madre di un bambino in fase di svezzamento, il giudice ha optato però per un posticipo della pena fino a quando il bambino non fosse diventato autonomo. Il reporter  Abdiaziz Abdinur Ibrahim che aveva intervistato la ragazza ai primi di gennaio era stato condotto davanti al tribunale per le stesse accuse.  «La decisione della Corte di accusare le vittime di stupro e un giornalista è un segnale orribile, che fa venire i brividi» dice Daniel Bekele, direttore della sezione africana dello Human right watch. «Il processo è stata una montatura senza basi giuridiche e senza prove efficaci. Il governo dovrebbe licenziare i giudici e i procuratori generali» ha aggiunto. Il dipartimento di Stato americano avevano definito il caso come “litmus test” cioè il punto di svolta per la credibilità del sistema giudiziario somalo.