Attraverso la trasmissione di una scarica elettrica, il taser è in grado di provocare una contrazione muscolare e immobilizzare temporaneamente il soggetto che viene colpito. In dotazione alle forze dell’ordine come alternativa “non letale” all’uso delle armi da fuoco, è spesso al centro di discussioni sui rischi medici che potrebbe comportare. Lumsanews ha sentito il parere di Maurizio Santomauro, cardiologo e docente della scuola di specializzazione in cardiochirurgia dell’Università Federico II di Napoli.
Professor Santomauro, il taser comporta dei rischi medici?
“In alcune circostanze, la corrente elettrica dell’arma induce un’aritmia, cioè un’alterazione delle parti del cuore fino ad arrivare a una forma pericolosa per la vita: la fibrillazione ventricolare, in cui il cuore ha un’attività elettrica caotica e disorganizzata”.
Per “circostanze” intende soggetti fragili?
“Esattamente. Ad esempio le persone che hanno già delle malattie pregresse, come le cardiomiopatie, o che hanno avuto episodi di infarto. Oltre a queste però, sono in pericolo anche i portatori di pacemaker o di defibrillatore impiantabile, e chi ha anomalie aritmogene. Anche i soggetti che utilizzano psicofarmaci potrebbero essere a rischio. Questa tipologia di farmaci predispone il cuore ad andare incontro a fibrillazione ventricolare se attraversato da una corrente elettrica”.
L’uso di alcol o stupefacenti può incidere sull’effetto dell’arma?
“Assolutamente sì. Persone in stato di ebbrezza o sotto l’effetto di droghe possono avere una particolare sindrome che li predispone ad avere queste aritmie. Si tratta della sindrome da delirio eccitato, caratterizzata da iper-eccitazione, ipertermia e da una distorsione della realtà. Oltre a dispiegare un’enorme forza fisica, in questi soggetti si crea la chetosi metabolica, che già da sola può essere letale. Se vengono attraversati dalla corrente elettrica, questi individui sono esposti a un elevato rischio di fibrillazione ventricolare. Ma chiaramente gli agenti non sono a conoscenza delle condizioni mediche dei cittadini”.
Una volta terminato l’intervento con l’arma, gli agenti hanno l’obbligo di chiamare l’ambulanza.
“Il problema è che una volta iniziato l’arresto cardiaco, è necessario agire nel corso di pochi minuti: massimo quattro o cinque dal collasso. Troppo pochi rispetto al tempo impiegato dalla squadra del 118 per arrivare sul posto e intervenire. Se veramente vogliamo fare qualcosa di utile, bisogna chiedere al ministro dell’Interno Piantedosi di rendere obbligatorio alle squadre di agenti che hanno il taser anche il defibrillatore portatile. Anche perché ormai è miniaturizzato e gli agenti possono portarlo dietro e usarlo nel giro di pochi minuti”.
Quindi bisognerebbe aggiornare le linee guida degli operatori taser?
“Esatto. Loro hanno già un protocollo del Dipartimento della pubblica sicurezza, ma dovrebbe essere integrato con il corso di primo soccorso con uso del defibrillatore. In maniera tale che, quando arriva l’ambulanza, il soggetto è ancora vivo e può essere trasportato in ospedale. E questa sarebbe sicuramente una garanzia di sicurezza per tutti. Sia per gli agenti che per i cittadini”.
Le autopsie di quattro degli ultimi cinque casi di morte avvenuti in Italia a seguito dell’uso dell’arma escludono un collegamento diretto tra la scarica e il decesso dei soggetti, individuando altre cause come infarto o patologie pregresse.
“Semplificando al massimo e senza entrare nello specifico degli ultimi casi, la morte elettrica che il taser può causare non lascia segni anatomopatologici che il medico legale può trovare al momento dell’autopsia. Questo perché quello che può provocare lo strumento non è un infarto, ma un’aritmia elettrica. Nel quadro di una persona malata e che ha già avuto un infarto, il medico forense troverà i segni del vecchio infarto, ma non quelli dell’aritmia provocata dal taser. Quella si vede nell’elettrocardiogramma, non al tavolo autoptico”.


