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HomePolitica Dalla redazione al Palazzo: l’eredità di Giovanni Spadolini

Storico, giornalista, politico
così Spadolini affrontò
le quattro emergenze italiane

Un secolo fa la nascita dello statista

L'amore per la storia e le istituzioni

di Tommaso Di Caprio21 Giugno 2025
21 Giugno 2025

Giovanni Spadolini Tribuna Politica – Conferenza stampa del Partito Repubblicano Italiano, 1986

Dalle cattedre universitarie alle redazioni di giornale fino ai palazzi della politica. In ogni suo incarico, Giovanni Spadolini mantenne sempre un’idea chiara di cosa il potere non doveva mai diventare: la causa della disgregazione nazionale. Mediatore instancabile e difensore appassionato delle virtù civiche, lo statista fiorentino ha rappresentato una sana anomalia nella travagliata storia della prima Repubblica. Nel centenario della nascita, il suo ricordo resta un’occasione preziosa per riscoprirne l’eredità intellettuale.

Una vita napoleonica tra giornalismo e politica

“Non ho mai capito se Spadolini andasse più fiero della sua carriera politica o di quella giornalistica. Furono entrambe napoleoniche”. Così, con poche parole e senza retorica, Indro Montanelli salutava l’amico e collega all’indomani della sua scomparsa nella calda estate del 1994. E in effetti, quella del professore fiorentino fu tutt’altro che una vita ordinaria. Sin dall’esordio sulla carta stampata al Messaggero quando, poco più che adolescente, iniziò a raccontare l’Italia del dopoguerra facendo del giornalismo il luogo d’incontro ideale tra politica e cultura. Una linea che Spadolini conservò a ogni cambio di redazione, sforzandosi di portarla con sé anche tra i banchi del Parlamento.

Entrato in Senato sotto l’ala protettiva di Ugo La Malfa, già alla sua prima esperienza di governo come ministro, si distinse per intraprendenza e capacità, dando forma e voce al neonato dicastero per i Beni culturali e ambientali. Sempre più parte della missione e degli ideali di La Malfa, ne raccolse l’eredità diventando segretario nazionale del Partito repubblicano italiano. 

Ma il punto più alto della sua carriera politica lo raggiunse senza dubbio quando, in un’Italia consumata dalla crisi morale ed economica, fu chiamato a spezzare l’incantesimo democristiano dentro Palazzo Chigi. Nati tra tensioni e veti incrociati, i suoi due esecutivi riuscirono a infondere di nuovo fiducia a un Paese stanco, ma non ancora rassegnato.

L’uomo delle quattro emergenze

Quando, nella primavera del 1981, il governo di Arnaldo Forlani crollò sotto le macerie dello scandalo P2, nessuno avrebbe scommesso su Spadolini a Palazzo Chigi. Nessuno, tranne il presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che affidò a un senatore in politica da nove anni il compito di restituire credibilità allo Stato. Con un partito piccolo alle spalle e una maggioranza fragile al suo fianco, il nuovo presidente del Consiglio dovette fronteggiare quelle che egli stesso definì le “quattro emergenze” che opprimevano il Paese: morale, economica, civile e politica. Nei sedici mesi successivi, Spadolini scelse la Costituzione come unica bussola per la sua azione di governo. Consapevole che i mali della politica italiana andassero trattati con studio, metodo e umiltà: pensando, provando, correggendo. Piuttosto che inseguire affannosamente i problemi come avevano fatto i suoi predecessori, decise di affrontarli. 

E così, se lo smantellamento della rete piduista fu la boccata d’aria pulita che le istituzioni attendevano ormai da tempo, il ritorno a una programmazione organica nel disastrato campo dell’economia, si rivelò una scelta quasi inaspettata, ma non priva di logica. Simbolico resta ancora oggi il tavolo di confronto tra sindacati e imprenditori, convocato il giorno stesso del suo giuramento, per strappare a Confindustria il ritiro della disdetta sulla scala mobile. 
Ma Spadolini era anche uomo d’azione, non solo di pensiero. Di fronte agli ultimi colpi di coda del terrorismo, non cedette mai alla tentazione del compromesso. La linea della fermezza assunse una sua forma e sostanza istituzionali con la cosiddetta “legge sui pentiti”. Pensata per superare l’impasse tra Carta e Codice penale, la norma diede allo Stato uno strumento risolutivo per indebolire il fronte compatto dell’eversione. E ancora oggi, è impossibile raccontare la sconfitta delle Brigate Rosse senza riconoscere il ruolo cruciale giocato dai suoi governi.

Il ricordo di un italiano

Nel poco tempo alla guida dell’Italia, Spadolini riuscì a conciliare due aspetti che la politica tende spesso a separare: il realismo del potere e l’etica delle idee. Una felice anomalia in quel sistema di alleanze e convenienze reciproche che fu la prima Repubblica. La sua lettura della Costituzione, raccolta in un decalogo asciutto ma essenziale, fu insieme bussola e argine in anni turbolenti: garanzia di stabilità, ma anche tentativo concreto di restituire ai partiti la loro missione originaria. 

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