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America Latina, il grande supermarket cinese

di Tommaso Bertini08 Marzo 2022
08 Marzo 2022

Mentre l’Occidente era distratto dai nuovi rapporti di collaborazione e amicizia “senza precedenti” fra il leader cinese Xi Jinping e il presidente della Federazione russa Vladimir Putin, culminati con le immagini della loro presenza, fianco a fianco, alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022, un importante passo avanti della politica estera cinese veniva portato a termine.

Il 6 febbraio scorso, infatti, il segretario generale del Pcc e il presidente argentino Alberto Fernandez firmavano un memorandum in cui l’Argentina dichiarava di voler aderire alla Belt and Road Initiative, il progetto geopolitico lanciato nel 2013 dalla Repubblica popolare cinese per proiettare la sua influenza oltre i confini nazionali.

Un evento che è solo l’ultimo tassello di un fenomeno molto più vasto e che coincide con la penetrazione cinese, tanto economica quanto politica, nel continente sudamericano.

La principale preoccupazione di Pechino è sempre stata quella di avere accesso alle materie prime per sostenere gli elevati ritmi del proprio sviluppo economico. Materie prime di cui l’America latina è ricca. Per questo, la Cina, a partire dagli anni duemila, ha cercato di stringere relazioni economiche sempre più intense con gli Stati sudamericani. Con un approccio che Francesco Tamburini, professore di Storia e Istituzioni dei Paesi afroasiatici dell’Università di Pisa, definisce simile a chi compra in un supermercato: i cinesi “vanno e prendono tutto quello che serve”.

Secondo il World Economic Forum, tra il 2000 e il 2020 il commercio tra Cina e i Paesi del LAC (Latin America and Caribbean), è aumentato di 26 volte, passando da 12 miliardi di dollari a 315 miliardi di dollari. Questo dato, secondo il forum, è destinato a superare i 700 miliardi nel 2035. In cambio delle materie prime, Pechino fornisce, infatti, ingenti prestiti e investimenti. La strategia, afferma Tamburini è quella di “fidelizzare il cliente”. I Paesi latino americani, spiega il docente, “passano da essere venditori a diventare anche clienti”. Gli Stati Uniti rimangono, di fatto, il primo investitore nella regione, ma i forti legami tra Cina e Sud America sono ormai un dato assodato.

Per il giornalista di “Domani” Michelangelo Cocco, l’attrattività degli affari con i cinesi sta nel fatto di “concedere prestiti a tassi più vantaggiosi e abbattere i costi di produzione delle opere pubbliche”. Questo perché le aziende cinesi che forniscono prestiti sono statali. Questo, secondo il giornalista, pone la Repubblica popolare cinese in una condizione di netta superiorità rispetto alle aziende occidentali, gestite da privati. “Contrarre un debito con un privato è un conto – sottolinea Cocco – ma contrarre un debito, o chiedere prestiti al settore pubblico di uno Stato significa legarsi, in qualche modo, allo Stato stesso”.

Una situazione che crea vantaggi per entrambe le parti, in quanto la Cina fa i suoi interessi e i Paesi dell’America del Sud, come spiega Loris Zanatta, storico e docente dell’Università di Bologna, dagli anni 2000 “sono cresciuti in modo straordinario grazie al fatto che la domanda cinese ha portato in alto il prezzo delle materie prime”.

Questi legami sono aumentati grazie anche a quella che viene definita la diplomazia dei vaccini. Secondo Alessia Amighini, Co-direttrice del programma Asia dell’Ispi, “i vaccini sono stati sicuramente un’arma diplomatica ed economica molto efficace” per accrescere l’influenza, anche politica, su questi territori.

Si tratta di un modus operandi che accomuna gli Stati del Sud America con il continente Africano, dove la presenza di Pechino, negli anni, ha raggiunto livelli importanti. Al momento, tuttavia, come evidenziato da Tamburini, la pressione del dipartimento di Stato americano è ancora forte sui suoi vicini a Sud, cosa che invece manca quasi totalmente nei deboli stati africani, dove la Cina ha mano libera. Lo dimostra anche il fatto che, a differenza dell’America Latina, l’Africa ospita, a Gibuti, la prima base militare cinese all’estero.

Questo ci porta a un tema che va ben oltre le questioni economiche, ovvero gli interessi geopolitici della Rpc. Pechino intende “penetrare quello che gli Stati Uniti considerano il proprio ‘giardino di casa’”, ha dichiarato Giorgio Cuscito, giornalista di Limes. La Cina, prosegue Cuscito, “cerca di accrescere la propria presenza in America Latina anche per controbilanciare le attività americane nel Mar cinese meridionale”.

Per questo è importante approfondire i legami con la regione. Lo stesso progetto delle vie della Seta, a cui diversi Paesi latino americani hanno aderito, persegue obiettivi non solo economici, ma anche tecnologici, culturali e militari. “Quest’ultimo aspetto – prosegue l’analista di Limes – spesso viene trascurato. Ma la presenza cinese – ha concluso Cuscito – lungo le rotte delle vie della Seta viene si accompagna, come nel caso di Gibuti, dalla presenza militare”.

Ma per Cocco, il punto è anche che “Pechino vuole contare di più nei grandi organismi internazionali, vecchi e nuovi”. Sicuramente, rassicura il giornalista, “la Cina non è alla conquista del mondo”.

Anche Tamburini pone l’accento sugli organismi internazionali, dove l’influenza cinese potrebbe avvenire in maniera indiretta. “È difficile – sottolinea il professore – che un Paese latino americano indebitato con la Cina poi in Assemblea generale voti una risoluzione contro Pechino”.

C’è un altro problema per Xi Jinping, ovvero Taiwan. Pechino, spesso, condiziona i propri aiuti all’interruzione dei rapporti diplomatici tra il Paese e l’ex isola di Formosa. Questo, secondo Cuscito, coglie due obiettivi in una volta. Da un lato “permeare il mercato e rafforzare i rapporti con un determinato Paese”. Dall’altro, ha aggiunto Cuscito, “ridimensionare la proiezione diplomatica di Taipei”.

Al netto di tutto questo, rimane da chiarire la posizione statunitense. Avere un vicino così ingombrante come Pechino alle proprie porte, a prima vista, potrebbe portare conseguenze importanti per Washington. Una cosa già sperimentata, ricorda Cuscito, con la crisi missilistica degli anni Sessanta. Un’azione in questo senso è stata lanciata l’anno scorso, con l’istituzione, da parte del presidente Joe Biden, della Build Back Better World, un’iniziativa infrastrutturale con cui, spiega il giornalista di Limes, gli Usa “dovrebbero competere con i cinesi, promettendo investimenti più trasparenti e meno onerosi”.

Ciononostante, “al momento non c’è una strategia chiara”, dichiara Paolo Wulzer, docente di relazioni Internazionali dell’Università Orientale di Napoli. “Gli Stati Uniti – sottolinea Wulzer – hanno sempre condotto, negli anni, una politica strabica”. Hanno alternato “fasi di disinteresse a fasi di forte pressione quando erano in ballo i propri interessi globali”, ha concluso il professore . Qualora la presenza della Cina in Sud America dovesse diventare anche militare, non è escluso che nell’area possa crescere la tensione tra i due giganti. Ma al momento, secondo gli esperti, non appare uno scenario probabile.

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