Aurelia Sordi vittima di una truffa. La Procura di Roma indaga per circonvenzione d’incapace

Si parla di Sordi ma stavolta non c’è niente da ridere. A essere protagonista di uno spiacevole incidente è Aurelia, sorella del grande Albertone, vittima di un raggiro finanziario. La denuncia, al momento contro ignoti, è stata presentata alla Procura di Roma dai direttori di due istituti finanziari che si sono visti presentare da Arturo Artadi, storico autista di Alberto Sordi, una procura che lo autorizzava a gestire l’eredità dell’attore romano. Secondo quanto riportato da Repubblica, il documento sarebbe stato firmato dalla sorella di Alberto, Aurelia Sordi, e sottoscritto dal notaio della famiglia, Gabriele Sciumbata. L’inchiesta aperta dalla Procura è stata affidata al pm Eugenio Altamone, che sta verificando se nei confronti della Sordi ci sia stata circonvenzione d’incapace data l’avanzata età della donna.
Un patrimonio smisurato. Duecento miliardi di vecchie lire, quasi 104 milioni di euro è questa la cifra a cui ammonta l’eredità di Sordi, un patrimonio diviso tra case, terreni, titoli e contanti di cui la sorella Aurelia è erede universale e unica titolare. La maggior parte del capitale, circa l’80%, è stata destinata alla Fondazione, intitolata all’attore e da lui fortemente voluta, che si occupa di opere umanitarie, tutto il resto è quanto destinato agli eredi. La cifra è stata divisa in dieci conti bancari che fruttano 30mila euro di interessi al mese. Un bel gruzzolo a cui erano autorizzati ad accedere solo tre persone: la sorella di Sordi, Aurelia, il maggiordomo e l’autista, Arturo Artadi. Proprio quest’ultimo, lo scorso mese, si è presentato in banca col documento incriminato in cui veniva autorizzato a gestire tutti i dieci conti e che, di fatto, estrometteva la signora Aurelia dalla gestione dell’eredità. La richiesta ha insospettito il direttore che ha avvisato gli inquirenti presentando un esposto in Procura.
Una vicenda che stona nei giorni in cui a Roma si ricorda la figura del grande Albertone nel decennale della morte. Stavolta, come allora, non abbiamo riso.

Domenico Cavazzino