La corte d’appello respinge la richiesta d’arresto per Dell’Utri. Ieri la condanna a sette anni di reclusione

La Corte d’appello di Palermo ha respinto la richiesta d’arresto avanzata ieri dalla Procura generale per Marcello Dell’Utri. Il no della corte all’arresto per l’ex senatore arriva all’indomani della richiesta di arresto e della sentenza di condanna a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, arriva ieri, dopo la sentenza, il pg Luigi Patronaggio ha chiesto alla Corte l’arresto per «pericolo di fuga».  Dopo 19 anni di alterne vicende giudiziarie e tre sentenze – due di condanna, rispettivamente a 9 e 7 anni, – il quarto verdetto riconosce l’ex manager di Publitalia colpevole di concorso in associazione mafiosa. Nessuna dichiarazione di prescrizione, come auspicavano i legali, anche se i fatti contestati risalgono ormai a trent’anni fa.La terza sezione della corte d’appello di Palermo in pratica ha sancito che Marcello Dell’Utri per oltre 30 anni ha avuto rapporti con boss di prim’ordine come Stefano Bontade, Mimmo Teresi e Ignazio e Giovan Battista Pullara’, e ha garantito a Silvio Berlusconi, che in cambio avrebbe pagato fior di milioni, la protezione delle cosche.

Sembrano superati, dunque, i dubbi della Suprema Corte che aveva mosso una serie di appunti al ragionamento della precedente corte d’appello conclusosi con la condanna a 7 anni. Per la Cassazione, che aveva segnato il cammino entro il quale il nuovo collegio si sarebbe dovuto muovere, andavano riesaminate le accuse contestate a Dell’Utri per i periodi compresi tra il 1977 e il 1992.

I giudici romani in sostanza avevano ritenuto provate le collusioni mafiose dell’ex senatore fino al 1977 e avevano confermato l’assoluzione, a questo punto definitiva, dalle accuse contestate all’imputato per i fatti successivi al 1992. Tutto il periodo intermedio era da rivalutare. E questo, a tempo di record – il processo è durato meno di un anno – ha fatto la nuova corte che ha riesaminato 30 anni di storia del braccio destro di Silvio Berlusconi.

Un processo veloce, quello del collegio presieduto da Raimondo Lo Forti, celebrato non dimenticando mai l’incombente prescrizione che maturerà nel luglio del 2014. E al termine una sentenza che in qualche modo fa rivivere il verdetto annullato, che come quello di oggi aveva previsto una pena di 7 anni.

Soddisfatto il pg Luigi Patronaggio che, in una breve replica, aveva voluto precisare che quello celebrato non è mai stato un processo politico. Delusi i legali, gli avvocati Giuseppe Di Peri, Pietro Federico e Massimo Krogh. Solo apparentemente sereno l’imputato che, per la prima volta, forse per dissipare il dubbio sulle sue intenzioni di lasciare il Paese, ha ascoltato in aula il verdetto: «aspetto le prossime puntate di questo romanzo criminale che non poteva finire qui», ha commentato.

Lorenzo Caroselli