Taglio delle province, ultimato il decreto. E continuano le proteste nell’Italia dei campanili

Ancora poche ore e sapremo, a grandi linee, quale sarà il riassetto delle province che porterà, nelle regioni a statuto ordinario, ad un taglio di circa la metà degli attuali 86 enti (diverranno 51). Oggi infatti è l’ultimo giorno disponibile per le regioni che intendono presentare una propria proposta di riordino. In caso contrario sarà il governo ad intervenire.
Di sicuro però non si attenderà la scadenza delle amministrazioni in carica. Secondo indiscrezioni pubblicate dal Corriere della Sera, il testo del decreto predisposto dal governo, che verrà presentato al primo Consiglio dei Ministri di novembre, prevedrebbe, a partire da giugno 2013, l’istituzione di un commissario ad hoc incaricato di guidare la transizione. Una misura che riguarderà tutte le province, anche quelle che non subiranno modifiche. Una norma che disegna un vero e proprio processo a tappe forzate che ha scatenato le critiche dell’Upi, l’Unione delle province italiane e sembra pensata proprio per evitare ripensamenti e cambi in corsa, vedi campagna elettorale e nuovo governo.

Non ci sono però solo intoppi di natura tecnica ad ostacolare la riforma fissata a luglio dal decreto sulla spending review e tradotta in legge ad agosto. A preoccupare, nell’Italia dei campanili, sono anche le rivalità storiche che oppongono città e provincie da sempre in contrasto e che si vedranno, nel giro di pochi mesi accorpate in un unico ente territoriale. Un esempio per tutti quello che sta avvenendo in Toscana.

Pisa – Livorno, nemiche storiche.

Chi glielo spiega ad esempio ai pisani che dovranno fare comunella con i livornesi? E se il problema per un osservatore esterno può sembrare di poco conto, non la pensano così i diretti interessati. Dai comitati di cittadini sorti appositamente per scongiurare il rischio di fusione – a Pisa ce n’è addirittura uno che invoca l’unione con Siena come alternativa -, alle manifestazioni di protesta, con tanto di sindaco e presidente della provincia in prima fila (entrambi di Pisa), striscioni e slogan scanditi a ricordare il principio: «Ad ognuno la sua provincia».

«Non c’è niente che accomuni le due città – ci spiega Ettore Mencacci, giornalista pisano, ex Ansa –: è una rivalità che affonda le sue radici nella storia dei due centri. Soprattutto Pisa, che nei secoli ha visto trasformarsi quello che di fatto era il suo porto sul Tirreno, in una grande città che attualmente conta il doppio dei suoi abitanti. I contrasti sportivi hanno poi fatto il resto». Non è un caso che a protestare siano stati soprattutto i pisani, che molto probabilmente, per i criteri stabiliti dal decreto, si vedranno accorpati alla provincia di Livorno. «E pensare – continua Mencacci – che Pisa è una provincia molto più grande e antica di quella livornese, che esiste solo dal 1926». Per la verità un tentativo di sintesi c’è stato in passato, attraverso lo sport, e prevedeva la fusione delle due squadre di calcio. Un esperimento fallito, ma che ha fatto molto parlare: «A progettarlo fu Romeo Anconetani, storico e indimenticato presidente del Pisa Calcio che portò la squadra nel massimo campionato negli anni ’80-’90 – spiega ancora Mencacci -. Il progetto prevedeva anche la costruzione di uno stadio unico che sarebbe dovuto sorgere a metà strada tra le due città. Poi non se ne fece più nulla, evidentemente 20 chilometri erano troppi anche vent’anni fa». I malumori espressi da molti comitati si sono poi riflessi nelle fratture all’interno del consiglio regionale, dove la maggioranza Pd non è riuscita a trovare un accordo e rischia di uscirne con le ossa rotte.

Proteste anche in Abruzzo.

Non c’è solola Toscanaalle prese con i diversi campanilismi. Ieri è toccato ai comitati abruzzesi manifestare contro la riforma decisa dal governo. Con la provincia di Chieti in prima fila a scongiurare l’ipotesi di accorpamento con Pescara. Anche qui, a guidare la manifestazione, c’era il primo cittadino insieme al presidente della Camera di commercio. A dimostrazione che lo scontro, qui come altrove, coinvolge anche il futuro dei diversi enti territoriali. Nessuno infatti sembra disposto ad accettare che le decisioni sul futuro del proprio territorio vengano prese altrove, tanto più se da una provincia storicamente rivale o, come denunciano invece i comitati di cittadini pescaresi sorti per l’occasione, da una provincia con una popolazione e un peso economico decisamente minore. L’esecutivo però non sembra proprio sentirci da quest’orecchio.

Carlo Di Foggia