Le sigarette elettroniche affossano quelle tradizionali. I mancati introiti per lo Stato ammontano a 700mila euro

Un buco da 700 milioni di euro che sta dando serie preoccupazioni al Ministero delle Finanze. Le sigarette elettroniche infatti, giorno dopo giorno, non solo erodono sempre più il mercato tradizionale del fumo ma, del tutto detassate, vanno a incidere in maniera pesantemente negativa sul Bilancio dello Stato. E non è un caso che a più riprese – a novembre nel Decreto Sviluppo, a dicembre nella legge di Stabilità, e pochi giorni fa nel Decreto sui debiti della Pubblica Amministrazione – si sia tentato di tassarle, senza però mai riuscirci.

Ontologia della sigaretta elettronica. Eppure i più ottimisti, anche se dovesse essere varata un’imposta poderosa, prevedono che il gettito sarebbe al massimo di 50 milioni di euro, non essendo possibile equipararla completamente a quella che attualmente grava sulle normali sigarette. Il problema infatti è a monte perché non si è ancora riusciti a definire la natura della “e-cig”: se si tratti cioè di un prodotto da fumo, di un dispositivo medico oppure di qualcosa di totalmente nuovo. Nel primo caso si applicherebbe la normativa tipica per gli articoli contenenti tabacco: la vendita esclusiva in tabaccheria, i divieti pubblicitari, gli obblighi informativi e l’accisa sui tabacchi. Nel secondo, invece, le sigarette elettroniche andrebbero vendute nelle farmacie.

L’equiparazione con i prodotti da fumo. Il Ministero della Salute finora ha solo decretato il divieto di vendita ai minori, associandole inevitabilmente ai prodotti da fumo, anche se non c’è combustione, non è presente tabacco, e dal cilindro elettronico viene emesso vapore. L’unico elemento che fa da trait-d’union tra le vecchie sigarette e le nuove è quindi solamente la nicotina, che è possibile trovare in alcuni liquidi che scorrono al suo interno. Percorrere la via dell’equiparazione con gli articoli per fumatori potrebbe dunque portare alla determinazione del quantitativo di tabacco necessario a produrre la nicotina presente in una fialetta di liquido per poi tassarlo con l’accisa. Ma non solo, perché questo consentirebbe anche – nel caso si volesse vendere le “e-cig” in negozi che non siano tabaccherie – di obbligare i venditori a registrarsi ai Monopoli di Stato, di aprire un conto e un deposito fiscale: un complesso iter burocratico che se adottato rischierebbe d’altra parte di penalizzare troppo una delle realtà economiche attualmente più dinamiche nel nostro Paese.

Il boom delle “e-cig”. Le vendite infatti raddoppiano di anno in anno, seguendo un business che, approfittando della completa detassazione, porta ad arricchirsi senza troppe difficoltà. Le sigarette elettroniche sono infatti state brevettate in Cina e, sempre lì, vengono prodotte. Iva e dazi compresi, al grossista un’unica sigaretta costa circa 25 euro, viene ceduta ai dettaglianti per 35 euro, e questi a loro volta vendono il prodotto al cliente finale a 65 euro. Un ricarico di oltre il 100% che ha fatto da lievito ai sempre più numerosi negozi di sigarette elettroniche in Italia che, ancora oggi privi di una normativa che li amministri e di una tassazione ad-hoc, hanno ormai toccato quota 2mila.

 

Fabio Grazzini