Dopo le lacrime su Kabul l’Europa si smarca sui rifugiati

Sono 123 mila i civili che dall’Afghanistan sono stati portati in salvo con il ponte aereo occidentale. Nei concitati giorni dal 14 al 31 agosto, quando abbiamo assistito alle tristi scene documentate dai filmati e dalle foto condivisi in tutto il mondo, solo una piccola percentuale è riuscita a fuggire. Secondo le stime dell’Unhcr, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati, sarebbero infatti 3,5 milioni gli sfollati interni nel Paese. 

Dopo la presa del potere, i nuovi padroni dell’Afghanistan hanno dimostrato di non essere diversi da quelli di 20 anni fa: repressioni e violenze si sono susseguite in queste settimane. Ad essere cambiato, invece, è il tessuto sociale afghano, come sostiene la giornalista Francesca Mannocchi, intervistata da Lumsanews: “È un paese molto giovane, in cui esiste una fetta, seppur non maggioritaria, di giovani che è cresciuta con l’idea di un paese in costruzione che garantisse loro dei diritti. Per quanto embrionale, questa società civile non ha intenzione di fare un passo indietro”. Secondo lo scrittore e giornalista Nico Piro, “i talebani stanno perdendo l’occasione di poter stabilire un patto sociale con la popolazione, che necessita di sicurezza e di essere libera dalla corruzione”, condizione che i talebani possono offrire. A patto che non venga chiesto agli afghani di rinunciare ai diritti che, negli anni di coabitazione con un governo filo-occidentale, hanno iniziato ad assaporare. “Il tema – conclude Piro – è anche la tenuta dell’economia: se non regge è ovvio che poi collassa tutto insieme, perché collassa la sicurezza e quindi parte la grande fuga”. 

Una fuga dei rifugiati che in molte parti d’Europa è vista come uno spauracchio. Diversi leader occidentali si sono esposti sul presunto pericolo rappresentato dai migranti. “Non c’è davvero posto per loro”, ha affermato per esempio il primo ministro della Repubblica ceca Andrej Babis. “Non accoglieremo nessun afghano in fuga, non sotto il mio potere”, gli ha fatto eco il cancelliere austriaco Sebastian Kurz. Per il presidente francese Emmanuel Macron, l’Europa deve “proteggersi da ondate significative di migranti illegali” dall’Afghanistan. 

Affermazioni che per il sottosegretario al ministero degli Esteri, Benedetto Della Vedova, sono “sbagliate e deprimenti, come se dire no agli eventuali rifugiati fosse l’unico elemento di attenzione da parte dell’Unione europea rispetto a una crisi che ha messo in discussione equilibri geopolitici”. 

Ma c’è veramente da aspettarsi una crisi migratoria verso l’Europa, come quella del 2015? Una domanda a cui prova a rispondere lo stesso sottosegretario: “Al momento non c’è una previsione di un aumento immediato dei flussi di profughi dall’Afghanistan”. Dello stesso avviso Mannocchi: “Non credo che vedremo la fuga di 800-900 mila persone, per una serie di ragioni, non ultima quella economica. Non sono molti i cittadini – aggiunge la giornalista – che oggi possono permettersi un viaggio in mano ai trafficanti”. E, quindi, non assisteremo neanche a un aggravamento dei flussi lungo la rotta balcanica, in cui negli ultimi anni sono stati accertati abusi verso i migranti che non si sono mai interrotti.

Anche se non è prevista una nuova crisi migratoria, secondo Della Vedova “è doveroso un aiuto umanitario per gli sfollati all’interno del paese e per i rifugiati che si fermano nella regione”. Il sottosegretario individua nella Commissione europea e in agenzie internazionali, come l’Unhcr, i canali da sostenere anche finanziariamente, affinché i profughi nella regione “abbiano una condizione dignitosa connessa ai servizi basilari di salute, igiene e di istruzione”. 

Ma tra i beneficiari degli aiuti europei potrebbero rientrare anche quei paesi confinanti con l’Afghanistan che, come ricorda Mannocchi, già da tempo “hanno, da un lato, subito, e dall’altro supportato i fenomeni migratori delle guerre passate e di questa lunga guerra di vent’anni.” Tutto quindi fa pensare che le conseguenze migratorie di questa crisi ricadranno principalmente su Pakistan, Iran e Turkmenistan. Già nelle ultime settimane il confine afghano-pakistano è stato preso d’assalto da centinaia di persone che scappano dal nuovo regime.

Da più parti si richiede un impegno maggiore per attivare strumenti diretti, come ad esempio i corridoi umanitari, che però devono ricevere il via libera sia dal luogo di partenza, cioè dall’Afghanistan, che di arrivo. Piro sottolinea la necessità per il Vecchio Continente di “rinunciare a barricarsi dietro la sua superiorità morale” e punta sul dialogo con i talebani “che non significa assolverli, perché sono autori di crimini di guerra e non li possiamo riabilitare, però di fatto controllano il paese”. Ma anche se si riuscisse a stringere accordi con i talebani, rimangono alcune criticità nel sistema di accoglienza europeo, soprattutto a livello normativo. 

Lo spiega Fabio Raspadori, professore di Diritto dell’Unione europea dell’università di Perugia: “L’Ue non può imporre ai paesi europei di accettare un certo numero di migranti. Nel senso che ogni Stato, in base al diritto europeo, decide quanti migranti accettare. L’Ue può provare a incoraggiare i paesi membri a tenere certe politiche, ma non li può obbligare”. 

Le fratture e le resistenze interne su migrazioni e accoglienze rischiano di essere per l’ennesima volta una spina nel fianco dell’Europa. “L’Ue dovrebbe assumere una posizione politica netta”, afferma il portavoce di Amnesty Italia Riccardo Noury, che aggiunge: “È una crisi di dimensioni straordinarie che ha bisogno di una risposta straordinaria. Se la risposta sarà quella ordinaria della esternalizzazione, o quella vecchia dei muri, non ci siamo.”