Se morire di lavoro non è quasi mai un incidente

La chiamano morte bianca e lascia sul selciato cadaveri e feriti, dividendo l’Italia in regioni: nella fascia chiara (con una incidenza infortunistica inferiore al 75 per cento) è più clemente, in quella rossa (con un’incidenza superiore al 125 per cento) ferisce e uccide senza pietà. Come una pandemia, cresce a ritmo di galoppo e non risparmia alcun settore: ma si concentra soprattutto sulla manifattura, sanità, trasporti, edilizia. 

Nei primi sette mesi del 2022 ha ucciso 569 persone, con una tragica media di 81 vittime al mese. Autore della strage silenziosa non è il covid – che anzi contribuisce a rendere, con le sue vittime, la statistica ufficiale dei decessi sul lavoro sottostimata del 16 per cento -, ma la morte sul luogo di lavoro: per una svista in cantiere o un’aggressione in un bus. 

Cresciuti quest’anno del 41 per cento rispetto al 2021, la maggior parte degli infortuni – secondo i dati dell’Osservatorio sulla sicurezza Vega – si concentra nella giornata lavorativa del martedì e riguarda lavoratori sotto i 25 anni di età o al contrario quelli più anziani. Se il giorno è probabilmente un caso, l’età no. Perché?

 

 Se la formazione dei giovani rimane solo un costo

Guidare un bus o muovere una gru hanno poco in comune, se non il fatto che i lavoratori devono imparare a lavorare in sicurezza altrimenti i rischi sono molti: soprattutto per i più giovani. Basti pensare che, nella fascia d’età tra i 15 e 24 anni, gli incidenti mortali sono 12,8 su un milione di occupati nel solo 2022. “Non stupisce – dice a Lumsanews il segretario confederale Cisl Angelo Colombini – i giovani hanno bisogno di essere accompagnati nella conoscenza degli strumenti, delle regole, dell’ambiente di lavoro”. 

Malgrado la legge prescriva di indossare dispositivi di protezione individuale e riparare i macchinari, è difficile ridurre gli infortuni se non si conoscono i ferri del mestiere. I contratti collettivi nazionali siglati dalle confederazioni sindacali più rappresentative (Cgil, Cisl e Uil) prevedono spesso ore aggiuntive di sicurezza sul lavoro. Peccato che le aziende delle costruzioni e del manifatturiero – dove nei primi sette mesi del 2022 sono morti rispettivamente 62 e 41 lavoratori – non siano tenuti ad applicarli e per vincere gli appalti ricorrano sempre più spesso ai contratti pirata. 

Questi accordi, stipulati con sindacati di comodo e poco rappresentativi, sono ormai circa un terzo del totale e non prevedono neanche un’ora in più di formazione. Far studiare sicurezza sul lavoro già nelle scuole e bloccare gli appalti a chi non applica i contratti di Cgil, Cisl e Uil. Sono questi gli assi che il sindacato vorrebbe calare.

Se per la prima strada basta la volontà politica, per la seconda bisogna fare i conti con la sostenibilità economica. Nel tessuto economico italiano, costituito per l’80 per cento da piccole e medie aziende a produttività debole, persino la sicurezza rischia di diventare un costo difficile da sostenere. Che fare, quindi? Umberto Saccone, direttore del master di Intelligence e Security della Link Campus con una lunga esperienza nella prevenzione dei rischi, dice che “una soluzione potrebbe consistere nel defiscalizzare i costi della sicurezza, che sono interamente a carico delle aziende: le minori entrate per lo Stato sarebbero compensate dalla diminuzione di incidenti in tutte le fasce di età”.

 

La tutela degli anziani, questa sconosciuta

Anche i lavoratori anziani sono a rischio. È sufficiente dare un’occhiata alla statistica che registra, tra gli ultrasessantacinquenni, 55,3 infortuni mortali ogni milione di occupati. E se i giovani sono inesperti (e vanno formati meglio), gli anziani sono deboli e vanno tutelati di più. Secondo il documento Inail ‘Lavorare negli anni della maturità”, sono tante le mansioni pericolose per un over sessanta: il lavoro su turni, l’esposizione al rumore o ad alte temperature, la movimentazione di carico.

Spetta al datore di lavoro, con l’aiuto del medico competente, valutare se la persona può lavorare in sicurezza. E come specificato  nel decreto legislativo  81/08, anche la differenza di età deve essere valutata tra i rischi. Il guaio è che spesso il documento (di valutazione dei rischi) fa riferimento a pericoli generici: la Corte di Cassazione, tra i tanti esempi, ha censurato il divieto – contenuto nel documento di valutazione dei rischi- di guidare con le mani i carichi, senza dare istruzioni alternative. 

Quello che serve, aggiunge ancora Saccone, è investire su personale competente che conosca la materia. Ma questo costa denaro e il problema della competenza non è limitato alla sola azienda. 

 

E quei controlli fantasma

Competenza ma soprattutto organizzazione dovrebbero essere un requisito essenziale di chi controlla. La situazione è tuttavia assai più complessa: dal 2015 Inps e Inail non possono assumere altri ispettori del lavoro e il modello dell’Ispettorato nazionale fatica a decollare. L’ispettore, unico onnisciente che dovrà vigilare sul calcolo degli imponibili come sulla sicurezza sul lavoro, sottolineano gli addetti ai lavori, è una chimera. In compenso, denunciano alcuni lavoratori, si esce meno a fare controlli perché il personale diminuisce ed è costretto a sbrigare anche i compiti amministrativi in ufficio. 

L’ispettorato nazionale del lavoro è passato dagli oltre 6 mila effettivi del 2016 ai 4 mila di oggi. E neanche le nuove assunzioni bastano. Un decreto del governo Draghi ha esteso agli ispettori tecnici del Inl il compito di vigilare sul rispetto delle norme sanitarie, di sicurezza e antinfortunistiche. In teoria, le nuove leve dovrebbero avere competenze altamente specialistiche; in pratica, nel nuovo bando basta una laurea triennale, spesso scollegata a requisiti di natura tecnica. 

Tutte le forze politiche, dal Partito democratico sino a Fratelli d’Italia, sono d’accordo con l’assunzione di nuovi ispettori: qualcuno, come il Movimento 5 stelle, chiede la Superprocura nazionale contro gli incidenti in fabbrica e la sinistra radicale di Unione popolare si spinge fino all’introduzione del nuovo reato di omicidio e lesioni sul lavoro. Il fenomeno però è molto più vasto di quello che si immagina, come dimostra lo strano caso degli incidenti sul lavoro nella sanità e nei trasporti. 

 

Trasporti e sanità, le morti sul lavoro più anomale

Più di 60 mila infortuni nel 2022 riguardano sanità e assistenza sociale (escludendo la causa Covid). E oltre 39 mila sono accaduti nei trasporti. In quest’ultimo comparto, dice Colombini, c’è la specificità che circa un terzo degli incidenti – dati Inail del 2022 – avviene in itinere, vale a dire mentre il lavoratore va o torna dal lavoro. 

Per risolvere il problema, aggiunge il segretario confederale Cisl, bisogna lottare contro i turni massacranti ma anche impegnarsi sulla manutenzione delle strade. Altro capitolo è quello delle aggressioni, che avvengono ai danni degli autisti ma anche e soprattutto di medici e assistenti sociali. Dal 2016 a oggi sono stati più di 12 mila i casi di infortunio sul lavoro accertati  dall’Inail e codificati come violenze, aggressioni, minacce e similari, con una media di 2.500 casi l’anno. 

Una vera e propria piaga che, ci spiega Saccone, esperto della materia, non si può affrontare pensando di piazzare un poliziotto in ogni vagone o ufficio del Comune e pensando di usare telecamere, tra l’altro senza personale di sorveglianza. “Anche in questo caso – ci spiega l’esperto di Security- occorre immaginare una partnership tra pubblico e privato, facendo leva sulla defiscalizzazione dei costi”. Coinvolgere le aziende di sicurezza private è una possibilità così come riorganizzare gli ambienti di lavoro in modo da garantire maggiore sicurezza al personale. Tutto si può fare, ma costa. Il guaio è che anche non intervenire ha il suo prezzo: 254 mila incidenti nei primi quattro mesi del 2022 mostrano che serve una nuova strategia, che con il debito pubblico alle stelle non può che ripartire da un maggiore coinvolgimento delle imprese. Perché la sicurezza – al pari di altri beni costituzionali come sanità e istruzione – non è solo un costo.